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cogan – killing them softly

Creato il 29 ottobre 2012 da Albertogallo

KILLING THEM SOFTLY (USA 2012)

cogan – killing them softly

Barando, ho letto un paio di recensioni prima di buttar giù due righe di commento a questo film, e trovo eccessive, francamente, le critiche mosse a un lavoro invece ben diretto e ben interpretato.
Probabilmente Killing them softly paga l’hype che lo ha accompagnato, ma se il punto di partenza del giudizio è la sola sceneggiatura – colpo alla mala locale andato a rotoli poiché commissionato da un vegliardo a due scalzacani presi male – credo che i vari “noioso”, “peccato” e via dicendo siano per lo più dovuti alla mancanza di colpi di scena. Invece di buono ce n’è, nel film del neozelandese Andrew Dominik (al secondo lavoro con Brad Pitt dopo L’assassinio di Jesse James), che propone un film di genere e fa di tutto, forse troppo, per ostentarlo.

Siamo nella degradata periferia di una città degli Stati Uniti, alla fine dell’era Bush jr. Le solite parole del solito comizio elettorale di Barack Obama accompagnano l’inquadratura dei piedi di uno dei futuri rapinatori mentre esce da un sottopasso: il tema della distanza America reale/America on air è il costante sottofondo del film.
Non siamo tra i vinti, ma tra i falliti: i rapinatori sono di una stupidità piatta, sterile, non sono uomini sull’orlo di una crisi di nervi cui la sorte ha voltato le spalle – elemento narrativo che allontana i protagonisti di Cogan dagli antieroi dei fratelli Coen, alla cui opera questo film più volte rimanda.
E non siamo nemmeno tra i disadattati, ma tra i miserabili: i rapinatori non sono divertenti, non sono versioni cool di alienati che hanno rinnegato il patto sociale in nome di un approccio individualista alla vita – cosa che li allontana invece dagli antieroi di Guy Ritchie, cui altrettante volte Cogan rimanda.

Non si può provare simpatia per il rapinatore tossico che ruba cani di razza per farci dei soldi con cui comprare 30 grammi di eroina da rivendere e farci ancora più soldi, o per chi non solo se lo sceglie come compagno di rapina su commissione, ma fa di tutto per convincerlo. Non sappiamo nulla, in generale, sulla fonte del loro disagio (scelta che personalmente apprezzo sempre molto), e ogni dialogo tra questi banditi a progetto è privo di musica, se non eventualmente quella del locale in cui si svolge la scena. La sensazione che ho provato quando, prima di svuotare le casse di una casa da gioco alla buona gestita da Ray Liotta, i due indossano dei guanti da cucina, è stata di semplice disgusto: tutto è volutamente dozzinale, e lo stesso Liotta è il classico pappone da bisca con i capelli tinti e tanto di ricrescita da un lato.

Il dono della tridimensionalità è concesso solo a Pitt, sicario ingaggiato per sistemare i responsabili, reali e mediatici, della rapina, e a James Gandolfini, ingaggiato a sua volta da Pitt per non farsi riconoscere da uno di questi. Gandolfini è l’unico personaggio cui Dominik concede un passato, un’umanità: alcolizzato e puttaniere incallito per via del matrimonio a rotoli, non compie neanche l’incarico perché non ne è più in grado. Riguardo a Cogan, invece, non c’è traccia né di un passato né di un presente, ma solo del suo razionale pragmatismo: il titolo Killing them softly si riferisce alla sua preferenza per le esecuzioni a distanza, così da evitare le scene stucchevoli tipiche dei bersagli prima di morire. L’America, nel mondo di Cogan, non è una nazione, non è un popolo, ma solo affari: è questo il suo mantra, che lo rende quasi un eroe solitario da film western, nonché l’unico personaggio veramente pensante di tutto il film. Su di lui si concentra pertanto una regia ad hoc (forse anche perché Pitt è uno dei produttori), che rende elegiaca ogni scena che lo vede protagonista. Abbiamo quindi un susseguirsi di slow motion, colori saturati e soprattutto musiche dolci e oniriche (Ukulele Ike, Kitty Lester) utilizzate con proporzionalità inversa all’efferatezza delle sue azioni. Menzione particolare, a proposito di musiche, per l’uso della velvetiana Heroin e di una versione di Nico di Wrap your troubles in dreams.

Non è un film originale, Killing them softly, né sicuramente un capolavoro, ma se si ama il genere vale davvero la pena dargli una chance.

Umberto Musone



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