Chi sono gli indignati?
Sono un fenomeno del nostro attuale momento storico.
Cosa vogliono? come si muovono? da dove vengono? come si organizzano? cosa esprimono? chi o cosa li unisce?
In parte si può rispondere a tutti questi interrogativi: hanno persino steso un loro manifesto partecipato da ottantadue paesi del mondo e nel contesto italiano i suoi membri hanno rivolto una lettera aperta al Presidente Napolitano. Esiste un video sul web che ne illustra gli scopi, gli aneliti, i contenuti. L’interrogativo che rimarrebbe senza facile risposta sarebbe invece : ”Cosa otterranno? cosa sapranno costruire? come saranno tenuti a trasformarsi? cos’ hanno in comune con il movimento della rivoluzione giovanile del 68? che cosa li differenzia radicalmente?”
Quello che otterranno e costruiranno, ma ci piace dire otterremo e costruiremo, è troppo presto per dirlo. Dipenderà e dipende da come si muove la grande scena politica ed economica nella quale tutti questi fenomeni singoli e partecipati si muovono. Dipenderà e dipende dall’originalità e dalla forza vera ed interiore che questi protestatori del mondo sapranno mettere in campo. Dipenderà dalle risposte che la società civile tutta saprà elaborare e progettare nei singoli contesti locali.
Intanto i giovani scendono in piazza da Wall street a Bankitalia, da nord a sud, da est a ovest… e vogliono andarci sotto nessuna bandiera, perchè ce l’hanno con tutti e con tutto perchè il loro ( e dunque il nostro futuro) è stato buttato a mare; cestinato, bocciato, bruciato.
Intanto il popolo dei protestatori si trova sulla rete e comunica con dei mezzi che lo portano in un attimo nel centro della scena. Usano un linguaggio che non bada da tempo alle formalità, che conosce molto bene le ragioni del dissenso ma che non conosce, perchè nessuno glie ne ha dato occasione, le ragioni dell’assenso reale all’essere collettivi.
Riflettiamo: al di là di ogni considerazione , dal caos della movida protestataria bisognerà comunque tirare fuori dei progetti, degli intenti, e cos’è tutto questo se non ”Il fare banale della politica”? proprio quella stessa politica che gli indignati aprioristicamente rifiutano, condannano e rigettano?
Non conosco un modo di fare progettazione che non sia quello di mettersi seduti intorno a un tavolo.
Il fatto è che i tavoli intorno ai quali sedersi si sono fatti davvero un po’ troppo imbarazzanti, e non per colpa di chi ci va a sedersi con le miglior intenzioni, ma per colpa di chi ha fatto da tempo dello Stato un luogo vergognoso di cui non andare fieri.
Tornare ad amare il proprio paese, tornare ad amare la propria città, tornare a sperare di potere costruire una propria famiglia con delle possibilità minime di sviluppo, tornare a riconoscere i bisogni elementari delle persone, tornare a sentirsi investiti di responsabilità e di doveri che non possono essere derogati o delegati a chicchessia.
Tornare a essere uomini seri che non rinunciano per questo alla leggerezza della vita, al suo naturale bisogno di allegria e di provvidenziale follia…
Stiamo per questo ad osservare e non con le mani in mano; riempiamo allora la nostra agenda di scadenze e di possibilità, senza chiudere alcuna porta che non si sia rivelata, con nostra grande soddisfazione, irrecuperabile.
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