di Stefania Guglielmo
Ilpensiero sembra essersi posto, nel corso del tempo, come il caratteredistintivo del genere umano; la facoltà di stupirsi, domandarsi,ricercare, ipotizzare e comprendere sembra infatti un’esclusivadell’uomo. Il cogere cartesiano è il tassello-base nellastruttura dell’essenza dell’individuo: è il pensiero che glipermette di essere ciò che è (uomo) è null'altro. In quest’ottica in cui l’uomo pensa per cui egli è, sillogisticamente, senon pensasse non sarebbe più uomo, ma un qualsiasi altro essere; èben noto, tuttavia, che all’uomo poco diletta l’esser posto sullostesso piano degli altri esseri, tant’è che egli innalza lapropria esperienza, decantando il possesso di questa sua particolarecapacità. Coerentemente con le sue pretese l’uomo dovrebbe dunquededicare gran parte della propria esperienza esistenziale a questaattività così unica e nobile; ad oggi, però, nella società,creata proprio dall’essere pensante, non vi è tempo di cogere,non vi è tempo di pensare, dunque, non vi è tempo di essere. L’uomoè ora considerato pienamente tale se produce, dunque deve produrre atutti i costi: la sua istruzione, la sua formazione, il suo tempodevono essere finalizzati alla produzione, in quanto un uomo che nonproduce poco si incastra nella odierna società- puzzle, che peresistere deve far sì che tutti i suoi pezzi siano della stessamisura, nella giusta posizione ed immobili, altrimenti rischia diinfrangersi irrimediabilmente. In questa prospettiva l’uomo deveimpegnarsi per produrre nel massimo tempo di cui dispone e deve farlotramite il lavoro che di rado è commisurato alle capacità, allepropensioni e alle attitudini dei singoli individui e, di converso,sempre più spesso assegnato usando come unico parametro il profitto.Detto ciò, si provi ad applicare la definizione cartesianadell’essenza umana alla situazione sociale che si sta vivendo: lamaggior parte del tempo dell’uomo viene impiegata nel lavoro; essotuttavia non è concepito come un’azione che valorizzal’individualità dell’esperienza di ogni singolo, bensì comel’attività alienante per eccellenza, in quanto costruita, nonintorno alle peculiarità dell’individuo, ma intorno all’interessedi una massa informe composta da mille volti, in cui specchiandosinemmeno uno di essi si riconoscerebbe. In questo quadro l’individuoquando torna ad essere se stesso? Quando vive il proprio tempo,godendo a pieno della propria esperienza? Quando ritorna asoffermarsi ed essere uomo? L’alta esperienza dell’individuodiviene oggi una corsa frenata, in cui è licenzioso l’affanno e incui ci si trova a desiderare di occupare il proprio tempo tramitequalsiasi mezzo pur di non pensare, poiché l’azione più caraall’uomo è divenuta un atto doloroso che conduce allaconsapevolezza di non poter essere ciò che si è. Tale mutamento nonpuò essere considerato come una trasformazione evolutiva, in quantoessa comporterebbe l’assunzione di una nuova forma che mantienealla sua base un’immutata componente sostanziale, il pensieroappunto. In questo caso, invece, si sta tradendo la propria essenzaper diventare altro rispetto a ciò che si è, e, si sa, perdiventare altro è bene che prima ci si annulli completamente. Ciòche forse si è sottovalutato è che ciò compone un ente permane alpermanere della sua esistenza dunque per quanto si ignori o sirimandi arriverà il tempo di cogere, di fare i conti con sestessi, ed il pensiero, che è la più grande arma che l’uomopossiede, se ignorato, al momento in cui inevitabilmente si presenta,potrebbe apparire insostenibile.