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“Montarono due telai, fecero finta di lavorare, ma non avevano assolutamente niente sul telaio”. Non si fa fatica a immaginare quanta serietà e quanto impegno: l’imperatore avrebbe avuto dei vestiti nuovi da lasciare tutti a bocca aperta. Bene, sappiamo come va finire: “«Ma non ha niente addosso!», gridò un bambino. «Signore Iddio, è la voce dell’innocenza!», disse il padre, e cominciò il passaparola di quello che aveva detto il bambino: «Non ha niente addosso, un bambino dice che non ha niente addosso!». «Non ha proprio niente indosso!», urlò infine tutta la gente. E l’imperatore rabbrividì pensando che potessero aver ragione, ma pensò: «Ormai devo guidare questo corteo fino alla fine». Gonfiò fiero il petto e proseguì, coi ciambellani dietro a reggergli lo strascico inesistente”.Non c’è alcuna sollevazione popolare, anzi, non è escluso che nel corso della sfilata l’imperatore possa riconvincere i suoi sudditi di essere vestito, e assai elegantemente. Potrebbe addirittura esserci un bambino sculacciato a chiudere la storia. Rammentavate che l’imperatore fosse fatto a pezzi dalla piazza? Facevate confusione tra la favola di Hans Christian Andersen e quella dell’anarchico incoronato di Antonin Artaud.
Tutt’è non farsi prendere dal panico, mettere convinzione nel gonfiare il petto, avere dei ciambellani dai nervi saldi e dalla faccia tosta professionale.
Prendete Antonio Martino. È da un bel pezzo che gli italiani sanno che la «rivoluzione liberale» di Silvio Berlusconi è una crudele presa per il culo, ma Antonio Martino si presta alla parte. Era solo uno strappo nell’abito, dice, ma bastano due punti di filo e Silvio Berlusconi mi ritorna il liberale del 1994: “Il passato non può essere riscritto ma possiamo ancora influire sul futuro; non possiamo lasciare incompiuta una rivoluzione che gli italiani fortemente vogliono. Le condizioni potrebbero non apparire ideali, data l’esiguità della maggioranza ma, sia che la legislatura venga interrotta sia che giunga al suo termine naturale, soltanto se ritroveremo l’ispirazione del 1994 e sapremo tradurla in proposte concrete seguite da risultati potremo ritenere di aver fatto il nostro dovere per il bene dell’Italia” (Il Foglio, 4.2.2011).Tutt’è avere la faccia tosta professionale di riuscire a parlare ancora del “bene dell’Italia” in nome e per conto del monumento vivente alla cura dei cazzi propri. Ed eccolo, Antonio Martino, serio e impegnato, a reggere lo strascico.
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