Sbagliato.
Il dottor Subito, medico di famiglia, dice che sto messa peggio di una vecchia carretta. Il dottor Subito, chiamato stamane perché mi rendevo conto di stare peggio di una vecchia carretta, dice comunque che sto peggio di lunedì, e che, quando lunedì mi ha detto: apperò, quest’anno le tonsille fanno giudizio, era meglio se stava zitto.
Dice che tonsille così conce le ha viste soltanto quando lo hanno mandato al ricovero dei vecchioni per un controllo generale dei cingoli e così via. Dice che i miei bronchi sono cementati e schifosamente ridotti.
Così uno di voi salta su e replica: opperbacco, il dottore è lui, come ti ha curato?
Eh, che ne so. I miei due compagni di sventura di inizio settimana, curati dallo stesso medico, han già ripreso baldanzosi scuola e lavoro. Così, o io faccio come quelle mamme che dicono che la brutta pagella è tutta colpa, sempre, della prof, anche quando tutti gli altri della classe prendono otto e nove, o ammetto che stavolta il prof è stato bravo ma l’alunna non si è impegnata abbastanza.
Comunque.
Dopo essermi trascinata tra voi con una discreta imitazione di ciò che funge da titolo di questo post, avviso che, al delizioso e veritiero quadretto che vedete immortalato là sotto, nell’altro post, e che rappresenta tutto quello che sto ingurgitando in questi giorni, vanno aggiunti: un altro sciroppo con altre funzioni da prendere in dosi minime perché in realtà i miei bronchi non stanno così male come esso prevederebbe ma insomma se la cavano abbastanza in tal senso; una pastiglietta da prendere il mattino a digiuno perché oltre a tutto l’ambaradàn respiratorio pare ci sia anche il contributo acidamente giunto inaspettato del mio stomaco; un altro antibiotico che invece di quei pastiglioni bianchi che vedete sotto è fatto di pastiglini rosa e va preso a metà tra un pastiglione e l’altro; uno spruzzino nasale (dosaggio infante) contenente cortisone.
Alla fine, l’unica cosa che riesco a fare con successo è leggere, distesa a letto, osservando ogni tanto il soffitto che ha bisogno di un’imbiancatura. Mi ci devo rassegnare.
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