Oggi ho dovuto presenziare a una colazione di lavoro. Colazioni, pranzi e drinks di lavoro sono una maniera cortesemente scorretta di farti lavorare anche in spazi che dovrebbero essere di svago e, soprattutto, privati. Alle nove ci siamo ritrovati in una sala riunioni, luci suffuse, colazione pronta per tutti – croissants, fragole e succhi di frutta – e il capo che ordina a tutti i presenti di alzarsi in piedi e … fare riscaldamento. Ordina di saltellare su un piede, poi farlo su un altro, poi sollevare le braccia, e infine fare stretching. Una volta concluso, tutti possiamo sederci e posare gli occhi sull’ennesimo grafico che mostra curve di crescita e decrescita. Scopo della riunione/colazione: la compagnia è preoccupata di non riuscire a chiudere l’anno finanziario – ormai sul punto di terminare – con numeri sfacciatamente abnormi. Abnormi in realtá lo sono giá, ma – com’è noto – la fame di profitto non si placa fino all’ultimo, sfiancante giorno di cannibalismo. Quindi ecco l’urlo del capo – via mail - il giorno precedente: domani colazione di squadra, voglio che ognuno porti almeno un’idea grandiosa per triplicare i numeri in un mese. Non importa se non è realistico – bisogna spingere e spingere, motivare e motivare. E scrivo questo fissando il capo in camicia salmone e voce melliflua, che distribuisce pain au chocolat e snocciola cifre, e penso che guadagna duecentomila sterline l’anno per mentire alla gente e generare profitto, e penso che ha figli a casa che non vede mai, che lavora undici ore al giorno e che ci costringe a fare riscaldamento fisico prima di una riunione. Una riunione che è una colazione. Una colazione nel mio tempo privato, individuale, unico. Lo guardo e vedo un sistema, una mentalitá – denaro, bugie, annullamento dell’identit á del singolo sull’altare della carriera. Lui sorride ed è gentile, mentre le sue bugie piovono, le fragole baluginano sotto le luci bianche della sala, i cartoni dei succhi si svuotano, ed è natura morta, persone morte, e io provo un’infelicitá cosmica.