Cold Comfort Farm

Da Povna @povna
Ci sarebbe un mucchio di roba, da raccontare: delle notte magiche, delle pedalate in bicicletta metaforica con il piùcheretto vicepreside e tutta la compagnia, della causa Jarndyce vs Jarndyce di dickensiana memoria. La verità è che, per ora, tutte queste belle cose la 'povna è ancora troppo impegnata a viverle, su e giù per Trenitalia. Così ripiega sull'ennesima recensione anglofila, soddisfatta di mettere in saccoccia un altro Venerdì del libro. E poi i racconti, se capita, pian piano arriveranno. E per intanto se la cava così in corner, ché, tutto sommato, scrivere di libri, specie a scuola finita, resta sempre uno dei suoi mestieri.
Stella Gibbons, non ci sono dubbi, conosce l'arte dell'ironia e del pastiche. Cold Comfort Farm (tradotto in italiano con un poco soddisfacente, se non altro per motivi di metrica, Fattoria delle magre consolazioni) si presenta dunque come un romanzo lieve, nel quale la parabola di Flora Poste (ragazza raffinata per educazione e indole che, rimasta orfana, sceglie di stabilirsi per un indimenticabile anno dagli strambi parenti del Sussex) nasce dichiaratamente con un lieto fine. Se il destino della protagonista è segnato dall'inizio, la parodia regna sovrana: a livello di intreccio (non solo Flora sposerà alla fine un principe azzurro designato dal principio, che viene a strapparla, su richiesta, dal suo esilio auto-imposto nel momento in cui le Consolazioni non sono più tanto magre e il raffinato deus ex machina ha portato a termine il suo compito di ritorno all'ordine, ma anche le vicende dei diversi abitanti della fattoria 'maledetta' sono raccontate con un lievità inversamente proporzionale all'apparente tragedia del loro destino), così come stilistico, dove l'autrice si diverte a imitare (e mettere in burletta) tanto il gusto pastorale per la descrizione lirica quanto la letteratura del mistero. Un'atmosfera che potrebbe all'apparenza essere figlia del più estremo Thomas Hardy, rivela così i suoi debiti a Northanger Abbey. Vittime della maledizione di una vecchia nonna tirannica (autosegregatasi in soffitta perché, da piccola, "ha visto qualcosa" - di cui il lettore non verrà mai a conoscenza - "nella legnaia"), gli abitanti delle Magre Consolazioni si adattano al ruolo con malcelata compiacenza, più che altro per mancanza di iniziativa personale. In fondo, quello di cui hanno bisogno, è soprattutto l'interesse per una nuova trama (non Hardy e il pastorale dell'Ottocento, ma i raffinati anni Trenta) da recitare. Flora, nel ruolo consapevole di sceneggiatore occulto, arriva alla fattoria e decide di dare loro un'altra chance: riaccomoda ogni cosa, ridefinisce i ruoli, tesse intrecci. Per andare incontro, al termine, al suo proprio scioglimento, scappando su un aereo arrembante (era arrivata in treno e carretto) verso il suo futuro matrimoniale e metropolitano. 
Un romanzo dunque da leggere sempre in doppio livello, nel quale le vicende degli Starkadder confidano al lettore una visione sul mondo che va ben al di là del gusto referenziale per la trama. E nel quale - un elemento che vale la pena sottolineare più di quanto non sia stato fatto - l'ambientazione "in un prossimo futuro" introduce un elemento dichiaratamente ucronico, a rigor di generi a suo modo fantascientifico, che contribuisce a spiegare una serie di scelte, e soprattutto l'acuto sguardo della Gibbons sulla società e sulla storia.

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