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Colletti stirati male

Creato il 22 luglio 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

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Sei l´estensione della mia solitudine, la faccia che ho deciso sulla fiducia di guardare ogni giorno davanti al caffè, il soggiorno che ho prolungato pagando un´affitto virgola periodico. Riso, mezza riviera con i barattoli attaccati al paraurti e poi Anna con la faccia tonda e Gabriele il chiacchierone, la tua promozione in fabbrica, i chili, il sorriso meno elastico. Meno pronti, meno pronti a ricominciare a rischiare, noi. Il tempo. É abitudine, é paura, é quello che chiamano il resto della vita che ti sei scelto. Ed é un countdown che rende le tue scelte passate sempre più voluminose e quelle future sempre più marginali. Guardi la partita di là e con un orecchio teso ai bambini che litigano scrivo una mail a Fabrizio. Ancora. Ancora sempre sposata io, ancora sempre libero, per quello che ne so, lui. L´ho conosciuto una mattina che avevo finito in anticipo i lavori di casa, con i bambini stranamente tranquilli, la pagina su quel social network fissa, e il mio momento del passo azzardato sulle mani sopra la tastiera. Cosa vuol dire il momento del passo azzardato? Oddio, che ne so. Vorrei dire solo le cose giuste, quello che sento. Ma sento che tutto é legato e Fabrizio é solo una scusa. Le scuse che servono agli amori amputati.

Passa il tg, passa quel momento che vorresti dire, passa la vita. E siamo qui, forse ad accontentarci delle briciole e a sperare le pagnotte. A piangere dentro che fuori non si può, a fare finta di non vedere, a dimenticare di aver sentito. Ché la verità non si può scrivere né si può scolpire sulla faccia della gente che al veda la mattina allo specchio. E le valigie non servono, perché non puoi scappare da te stesso e non puoi nemmeno fare i salti mortali se non sei un equilibrista provetto. Quanto tempo aspettiamo che gli altri si accorgano, e quanto siamo incapaci noi di farci accorgere. Quante volte diciamo “tesoro” pensando ad altro e scuociamo la pasta perché stiamo stufi di mantenere il decoro, quante volte perdiamo il conto, la voglia di fare domande e di ripassare i colletti delle camicie. É Maggio, il reggiseno é una trappola, non vengo bene in nessuna foto, lui si blinda nella sua vita, come me, forse per non sottolineare questo maledetto paragrafo di un libro dimenticato che siamo diventati. I bambini sono la mia vita. Poi il buio. Guardo i lampioni, come se fossero stelle vicine insidiate da zanzare fameliche, penso alle prossime cose da scrivere a Fabrizio. Saranno cose così, senza senso. Sulle strade digitali dei sorrisi senza senso, senza storia.

In fondo tutti cerchiamo un angolo in cui sfuggire alla logica, un angolo cieco in cui corrompere la razionalità e nascondere quello che non siamo davvero. Il vapore della pasta mi appanna gli occhiali. Sembro piú sexy, forse. Una mano sul petto. Per sentire il fruscio delle cose che non esistono perdersi nelle maree del cuore. Passa il momento che ti accontenti, passa il tutto e per tutto, passa il tuo sorriso preferito su radio Allucinazione. Ti svegli e sei lì, ancora meno tua con una mail aperta. Sei concentrata.

“Ciao tesoro, stasera sono libera. In chat alle 22?”.

Oggetto: Ancora, magari.

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