Silver Silvan scrive:
«Concreta, ci ho pensato, non direi proprio: se lo fossi, non avrei sprecato un'infinità di tempo a leggermi milioni di parole prive di concretezza. Una delle cose che più mi ha colpita, curiosando nei blog, è il ricorrente tema del dare e avere: c'è un'infinità di gente che si lamenta per aver dato e non aver ricevuto; è una geremiade che potrei far mia, se non fosse che lo trovo un discorso decisamente astratto, su Internet; cercare di quantificare il dare e avere è già difficile di per sé, nelle relazioni umane, in questo ambito poi, è squisitamente demenziale. E' impossibile determinare con certezza la portata di ciò che si dà e di ciò che si riceve, se non si conoscono esattamente i parametri relativi delle persone. Siamo nel campo della pura aspettativa, per di più illusoria, visto che la conoscenza approfondita, in questo contesto, è praticamente impossibile. Il valore attribuito a quello che concedo a qualcuno dovrebbe essere, se non lo stesso, almeno simile per entrambi per poter essere apprezzato: se così non è, il contenuto di ciò che viene scambiato non può essere apprezzato adeguatamente per il semplice motivo che non lo si riesce a valutare correttamente. Da qui a passare per ingrati, è un attimo e mi è successo anche di recente. Potrei fare lo stesso discorso applicandolo alla prevaricazione oggetto del post: le modalità attraverso le quali si può prevaricare sugli altri sono infinite; la sostanza dell'atto, la prevaricazione, rappresenta comunque un peso, esercitato e subito, che potrà essere misurato diversamente dai soggetti interessati, in base a criteri del tutto soggettivi. L'unica cosa possibile, per chi la subisce, potrà essere eventualmente considerarla come una caratteristica del suo interlocutore e accettarla suo malgrado, nell'impossibilità di soluzioni alternative: ma la prevaricazione rimarrà tale e quale comunque. Diciamo che alla modalità rigida di uno dei due soggetti, dovrà far fronte una modalità flessibile dell'altro perché possano interagire e convivere senza scontrarsi. Il contenuto rimane, insomma, è la modalità d'interazione che varia.
Spero di essere stata chiara, anche se ho il dubbio del contrario».
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Buongiorno Silvan, hai posto una miriade di questioni a cui non è semplice rispondere. Anzitutto, ti ringrazio perché le tue obiezioni/osservazioni mi inducono a chiarire meglio il mio pensiero, quantomeno a dissipare dei riflessi equivoci cui talvolta, mio malgrado, la mia teoria può dare luogo. Come avrai avuto modo di capire talvolta il grado di astrattezza al quale per necessità devo ricorrere rende poco “fruibile” ciò che affermo. Il mio vuole essere un contributo non allo studio della persona/personalità, bensì delle relazioni. L'ambito è circoscrivibile a ciò. Anche il comportamento che analizzo è sempre relativo all'ambito relazionale. Tuttavia, l’analisi è estensibile anche ai soggetti (ma lo faccio per via induttiva), in quanto ci sono delle modalità comportamentali che si ripetono in maniera quasi uniforme in determinate circostanze. E sono ciò che definisco i “tratti prevalenti” che vanno a definire a loro volta gli “stili interattivi”. Talvolta, mi è capitato che, parlando con degli amici, qualcuno m’abbia chiesto quale fosse (secondo me) il suo stile interattivo. Parlo dunque di persone che conosco si può dire da una vita. Ebbene, quando disegnavo il loro profilo non sempre mostravano di riconoscersi in esso: “Come”, mi dicevano, “io sarei un prevaricatore?”; oppure: “Io competitore? Allora non mi conosci affatto”. Ti dico, questo capita spesso con persone che insomma credo di conoscere un po’. Ebbene, parlo di uno stile prevalente, poiché so che ognuno di noi ha in sé incorporato anche gli altri stili. Soffermiamoci su uno di queste modalità, la prevaricazione: in estrema sintesi, si esercita un atto prevaricatore quando s’impone qualcosa a qualcuno, oppure quando si agisce nei confronti di qualcuno senza tener conto del suo punto di vista, come se il punto di vista altrui non esistesse, o fosse del tutto annullato.
È chiaro che questo atto non è da analizzare in modo isolato, come se fosse un caso a sé, bensì occorre inserirlo in una lunga catena di scambi interattivi tra due soggetti, insomma all’interno di una relazione tra due persone. Certo lo stesso atto può essere giudicato da due persone in modo diverso: ad esempio, alla prima può sembrare “normale” agire in un certo modo, alla seconda invece no. Il che vuol dire che la prima persona si è assimilato al punto di vista di chi mette in atto un comportamento prevaricatore, mentre la seconda no. Non è come si suol dire una questione soggettiva, ma si tratta di capire se si ha subito o non subito un processo di assimilazione. La persona che ti passa davanti quando sei in fila allo sportello perché ti fa uscire dai gangheri? Perché appunto non ha rispettato una regola condivisa. Ha agito come se tu non esistessi (non ti ha visto, o meglio: ha finto di non vederti). Qui non si tratta di una questione soggettiva. Poi è ovvio che si può “abbozzare” o reagire con di malomodo. E questo può dipendere come dici tu dall’umore che si ha quella mattina. Perché non abbiamo voglia di litigare con uno sconosciuto. Tuttavia, le modalità di risposta sono due: resistenza/sottomissione. O ci opponiamo o ci rassegniamo! Certo ripeto la risposta dipende anche dallo stato d'animo di quella mattina. Magari non voglio dare peso allo "sgarbo"; però poniamo che sono reduce di un precedente caso di prevaricazione a cui non avevo dato peso: vedrai che la precedente tensione incrementa la seconda; e così via...
Quando lo stesso atto viene ripetuto all’interno di una relazione stabile, i rapporti di forza tra le due persone cambiano: sottomissione dopo sottomissione, alla fine siamo portati ad agire come automi, pronti a scattare e a ubbidire al minimo cenno di comando!