«Io lo vedo come un atto di guerra. Esattamente come in guerra quando le donne vengono molestate e spogliate. Un atto che viene da una cultura per cui una donna che sta per strada è di proprietà di tutti. Nonostante tutte le battaglie che abbiamo fatto, questa idea appartiene purtroppo anche ad una nostra cultura arcaica. Quella dove nasce il femminicidio che considera la donna una proprietà e una minaccia alla virilità dell’uomo. Non ne faccio una questione di sesso, non tutti gli uomini ovviamente la pensano così, ma di cultura».
Uno scontro culturale?
«Sopravvive anche da noi questo arcaismo culturale che porta a considerare le donne come una proprietà, ma noi abbiamo leggi che puniscono questi comportamenti come reati. Il problema è che invece ci sono culture in cui gli atteggiamenti violenti nei confronti delle donne sono addirittura legittimati perché la donna se non è invisibile rappresenta una tentazione. Nei momenti di tensione e paura collettiva si trova il punto debole su cui infierire.
Anche il femminicidio è una manifestazione di paura di fronte all’emancipazione, ad una donna che lavora, che decide, è sempre più visibile nella società in posti di comando e di potere e che molti uomini non tollerano. Un rigurgito arcaico».