Colonne d'Ercole e Sardegna

Creato il 06 novembre 2012 da Pierluigimontalbano

Oh quante belle colonne, Madama Dorè
di Alfonso Stiglitz

Le Colonne d’Eracle, per i volenterosi seguaci della tesi Sardegna = Atlantide, sono come le figlie di Madama Dorè, che ognuno vorrebbe maritare. E ognuno le vuole maritare con la Sicilia, Malta, le Sirti, le Bocche di Bonifacio o con la Spagna come voleva lo scudiero del re che prese la più bella.
Perché parliamo di Colonne? Perché senza Colonne non c’è Atlantide. Un rapido sfogliare delle pubblicazioni su Atlantide Sardegna ci porta a ubicare queste Colonne ovunque e, ovviamente, ad attribuire questa collocazione alla mente di Platone, il quale
- se la Sardegna è Atlantide, come ormai è assodato, salvo che per i pervicaci archeologi sardi, che nel loro oscurantismo continuano a ritenere che la Civiltà nuragica non sia collassata drammaticamente nel 1175 -
pone Atlantide al di là delle Colonne, ergo queste stanno al di qua della Sardegna, tra Platone e la nostra isola e, quindi, al massimo in Sicilia o tra Sicilia e Tunisia.

Ora confesso che, nel mio pervicace oscurantismo, trovo un po’ strano che Platone abbia posto la fine del mondo, il non plus ultra, in Sicilia
· Perché in Sicilia Platone ha vissuto per circa 7 anni
· Perché ai tempi di Platone, ben al di là della Sicilia fiorivano fior di città greche, famose, che inondavano il mare delle proprie merci, una per tutte Marsiglia.
Se le Colonne sono, come erano, nel punto di separazione tra la realtà dei vivi e l’aldilà, inteso come altra dimensione, non più umana, buon senso vuole che non stiano in mezzo ai propri traffici commerciali: i lettori lo avrebbero immediatamente sconfessato.
Ovviamente se Platone avesse preteso di raccontare una storia vera e non uno dei suoi racconti filosofici.
Cosa sono le Colonne ?
Sono i segni che indicano il passaggio dall’aldiquà all’aldilà. Un mito orientale
e i miti orientali sono alla base della mitologia greca (vedi Esiodo)
Sono le porte del sole che segnano il percorso del sole da E a W
1) il sole visita l’aldilà durante la notte
2) deve attraversare le “porte del cielo”
3) il guardiano è il dio solare shamash
4) che si identificano con due monti gemelli come ben visibile in un sigillo akkadico del III millennio a.C.
Mashu era il nome della montagna di ingresso nell’aldilà a W
durante la notte il sole ripercorreva il tragitto W-E fino a uscire dall’altra montagna gemella Mashu.

Questi racconti mesopotamico sono diffusi ovunque e rimangono in tutte le mitologie del Vicino Oriente, compresa la Bibbia. Il diluvio universale è un racconto mesopotamico che gli ebrei lessero, o sentirono, e riportarono nel loro racconto. A Ugarit, il porto siriano, l’aldilà si trova all’estremo occidente del mondo conosciuto. Il ciclo di Baal, la grande divinità semitica, comprende due montagne ai limiti della Terra che segnano l’ingresso dell’aldilà a Occidente, e dell’aldiqua a Oriente, e il portiere si chiama Reshep, la fiamma, strettamente imparentato con Melqart. Non è un caso che nei templi, ad esempio a Cadice, il fuoco viva perennemente, all’interno di appositi calderoni accesi nel tempio. Le colonne dunque rappresentano un limite, un confine un luogo ultimo oltre il quale non si può andare, separa l’aldilà dal mondo reale, la geografia degli dei da quella degli uomini
Chi ha portato queste colonne nel Mediterraneo?
È verosimile che siano stati quegli individui che si spostavano da oriente a occidente con le navi. In primo luogo i fenici con il loro dio, Melqart, che si stabiliscono in molte coste: da Tiro fino all’Atlantico. Non a caso nel lontano Occidente edificano templi dedicati a Melqart a Cadice e Lixus, dove il sole va ad addormentarsi. Le prime colonne sono legate alla nascita di Tiro, sono le pietre degli dei, le due rocce erranti (Ambrosiai Petrai) di cui Bernardini ci ha parlato tante volte nel mito di fondazione di Tiro. Esistevano due isole che erravano nel mare e Melqart insegna, ai fenici che stavano nella terraferma, a navigare per andare su queste rocce e fondare la loro città. In una di queste c’erano l’olivo fiammeggiante e un’aquila. Il sacrificio dell’aquila blocca le rocce e i fenici possono fondare la città. Le due pietre, le due stele, le due colonne, sono comunemente raffigurate davanti al tempio di Melqart a Tiro. Erodoto descrive questo tempio quando va a Tiro e dice che fra i tanti doni votivi c’erano due stele, una di oro puro e l’altra di smeraldo, che risplendevano “Ho visto [il tempio] riccamente provveduto di molti doni votivi: tra di essi nel tempio c’erano anche due stele [sthlai], una d’oro puro, l’altra di pietra di smeraldo, che di notte risplendeva grandemente” (Erodoto II, 44.2) + I RE

Questo stesso elemento è presente anche nella Bibbia: Salomone chiama Hiram, re di Tiro, e chiede legname di qualità e artigiani in grado di costruire un tempio grandioso. Nella Bibbia si trova anche la descrizione di questo tempio, e recita che “eresse le colonne nel vestibolo del tempio, quella di destra la chiamò Iachim e quella di sinistra Boaz.
In tutti i templi di Melqart sparsi per il Mediterraneo, esistevano due stele, due colonne, due pietre che indicavano questa origine. A Cagliari, dove c’era l’area del porto fenicio (intorno alla città mercato Auchan) sono stati recuperati materiali che fanno pensare alla presenza di un tempio, ad esempio la statua di Bes, una delle raffigurazioni di Melqart, che si trova oggi al museo di Cagliari, e un cippo con una dedica a Melqart. C’è un chiaro sincretismo tra Melqart e l’Ercole delle colonne, con dediche in fenicio che definiscono Melqart, mentre quelle in greco sono riferite a Eracle. Le statue fenicie di Cipro, con una raffigurazione di Melqart con la leontè perfettamente comparabile a quella di Ercole. Secondo molti studiosi, è proprio a Cipro che avviene il mescolamento e la sovrapposizione fra i due personaggi. Ogni gruppo di naviganti che va a fondare dei centri commerciali oltremare, edifica dei templi dedicati alle divinità. Melqart per i fenici, ed Eracle per i greci, sono le divinità fondanti, quelle che portano la civiltà nei luoghi visitati. I greci vanno a sovrapporre le loro storie a quelle dei fenici, e i miti garantiscono il diritto dei popoli di fondare colonie. Anche all’interno dei greci troviamo una stratificazione dei movimenti tant’è che ci dicono che Eracle è l’ultimo degli arrivati nella vicenda delle colonne, perché prima di lui appartenevano a Briareo, un personaggio con centinaia di mani, alleato di Zeus, guardiano delle porte aldilà delle quali è relegato Crono. Briareo è in stretto contatto con gli Euboici, quel popolo che, prima di Eracle, portò Briareo nel lontano Occidente: in Sardegna a Sant’Imbenia, in Atlantico a Huelva, dove insieme al materiale greco sono stati scavati manufatti fenici e nuragici, siamo in presenza di una joint venture.

Nel IX-VIII a.C. i nuragici, se la proposta dello tsunami fosse valida, sarebbero un popolo fantasma perché da 300 anni non dovrebbero più esistere. Se affrontiamo il discorso sui toponimi dobbiamo osservare che le parole che terminano in –ussa sono greche e ci raccontano i movimenti di questo popolo nel Mediterraneo. Per lo stesso motivo, i toponimi fenici raccontano i movimenti di questi naviganti. Se le colonne sono il limite oltre il quale non si può andare, significa che oltre le colonne ci sono porti non conosciuti dalle popolazioni che pongono le colonne. Nel momento in cui il mito arriva in Occidente, con i fenici e con gli euboici, il confine si trova in prossimità del tempio che divide gli insediamenti fenici da quelli iberici (peraltro frequentati da fenici, greci e nuragici), ossia a Cadice.
Confrontando la letteratura con gli studi geologici, aldilà delle colonne d’Eracle dovrebbero esserci fondali bassi o fangosi. Se non ci sono fondali fangosi ne consegue che non ci sono colonne e non c’è Atlantide. Se perdiamo un elemento della teoria di Platone cade tutta la proposta di Atlantide. È stato proposto che i fondali fangosi si trovano nel canale di Sicilia, ma in quell’epoca, ossia nel 1200 a.C., la profondità del canale era notevole, poco diversa dall’attuale, molto differenti dai fondali dello Stretto di Gibilterra. Dove potrebbero dunque trovarsi questi bassi fondali? Aristotele, allievo di Platone, osò dire che il suo maestro così come aveva creato Atlantide e l’aveva anche fatta affondare, dimostrando poca fiducia in quello scritto. Aristotele ci fornisce anche una informazione geografica dello stretto di Gibilterra: “le parti del mare situate al di là delle Colonne d’Eracle sono al riparo del vento a causa dei bassi fondali” (Aristotele, Meteorologica, II, 1 354° 22).
L’area di Cadice, vicina a Siviglia, nell’VIII a.C. era vicina al mare, ma il territorio era paludoso a causa degli apporti di detriti da parte del fiume Guadalquivir. Il golfo penetrava l’area per circa 70 km e si trovava aldilà di Cadice. L’apporto alluvionale del grande fiume col tempo chiuse il golfo, ma all’età di Platone alcune parti del fiume erano ancora navigabili. Possiamo fare un paragone con la situazione a Santa Gilla, ma con proporzioni decisamente minori. A Cagliari troviamo ancora acqua perché il Rio Mannu è molto più piccolo del Guadalquivir e, conseguentemente, l’apporto dei detriti è molto minore.

Vorrei chiudere il mio intervento con una considerazione: sembra quasi che ci vergogniamo della nostra storia, che la storia dei nuragici non sia considerata adeguata alla nostra terra e si senta il bisogno di abbellirla, di arricchirla e di invocare la distruzione della civiltà da parte di Poseidone come se solo in questo modo, ossia con un maremoto, ci nobilitiamo agli occhi del mondo.
La Sardegna nuragica, soprattutto in questi ultimi anni, è afflitta da una quantità di pubblicazioni che di volta in volta la collegano ad Atlantide, Shardana, giganti, adoratori di Yhwh, ai Feaci…quasi che l’essere semplicemente nuragici non basti a garantirci un posto nella storia.
Fortunatamente non siamo stati sommersi, e a queste persone rispondo alla proposta Atlantide: “No grazie, perché come dice lo scudiero del re, la più bella del reame l’ho già scelta Madama Dorè, è la Sardegna”.

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