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Colore "protagonista" / Omaggio all'arte astratta minimalista

Creato il 18 agosto 2012 da Marianna06

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Immaginiamo un piccolo spazio sufficiente ad ospitare un cavalletto da pittore, pennelli, spatole, colori e altri “ferri” del mestiere.

Musica di sottofondo, se c’è.

Oppure sopperiscono le  voci provenienti dalla strada, teatro di vita, cui purtroppo ,oggi giorno, tutti noi  prestiamo quasi sempre molto meno orecchio.

E’ quanto basta per dare inizio alla “creazione”.

L’importante è che la luce illumini l’ambiente nel modo giusto, nelle differenti ore del giorno.

La luce che , com’è noto,  è fondamentale.

Colui o colei che si appresta ad animare improvvisamente la tela intonsa è  sempre e solo un “tramite”.

 Ma è un tramite geniale.

Traccia, spalma, picchietta, spruzza di getto, squarcia e lo fa con polso fermo e mano sicura.

Mano da non sottovalutare affatto in questo genere di “mestiere” tanto quanto essa lo è per il chirurgo.

Nel nostro caso non c’è modello o modella.

E’ il “colore”- ci dice l’artista - la persona o la situazione contestuale da ritrarre.

Di modelli se ne può fare a meno - sottolinea ulteriormente.

E’ tutto nella testa-aggiunge ancora.

Una grande sfida, che si ripete.

Ogni volta.

Questo è il “divino” di quell’arte che non ricorre a raffigurazioni iconiche ma che è capace, ugualmente, di esprimere mediante il colore, nelle sue differenti tonalità e in tutte le possibili sfumature esistenti, il cuore pulsante di ciò che è umano.

Terribilmente umano.

Perché l’umano è  esistenza che scorre, si modifica, si trasforma, per poi ricominciare, magari sotto altre differenti spoglie, il percorso.

 E non c’è niente di più autentico del “colore”  che, senza enfasi, quasi con tecnica minimalista, l’esistenza sia capace d’esprimerla.

Dall’artista alla tela.

Il sole , lo sappiamo, ci consente di leggere i “colori” e con essi gli stati d’animo della persona o del contesto, che si è inteso e s’intende raffigurare , e quelli che l’artista aveva e ha in mente e quelli che tu, lettore, forse sei capace di decodificare quando hai finalmente , innanzi a te, l’opera compiuta.

Che poi un’opera non è mai compiuta.

E  il gioco stesso, gioco “amoroso”, che ne fa l’opera aperta ,che si rinnova , appunto, grazie alle  capacità di esprimere gioia, dolore, rabbia, ambizione, frustrazioni, serenità, ironia etc…e del medium-artista  ma, soprattutto, per le intuizioni mirate di chi è in grado di cogliere  per sensibilità innata e, soprattutto, per  bagaglio culturale,e il significato e il significante.

Donde nasce poi la cosiddetta “critica”.

Insomma apprezzare l’arte, e non certamente solo quell’astratta, è come vivere un meraviglioso “triangolo” aperto.

Cioè un “rapporto”a tre.

L’artista, l’opera e il fruitore.

Meglio, quest’ultimo, se in possesso di un “qualche” piccolo modesto strumento di lettura  che non lo porti, condizionato magari dall’esclusivo impatto emozionale, un po’ troppo fuori strada.

 

   Marianna Micheluzzi

Il dipinto, in alto,dal titolo "Regard", a corredo del testo, è del pittore spagnolo Joseph Segui Rico


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