Juventude Em Marcha (2006) è film della transizione, itinerario irreversibile tra il passato ed il futuro che trova in Ventura la figura di sintesi, uomo corporale che si staglia contro il candore delle pareti ma che emana un’aura ectoplasmica, opacità straniante insita nel suo vagabondare. È un padre smarrito Ventura, e, se applichiamo la stessa similitudine di No Quarto da Vanda persona-lugo, il vecchio protagonista diventa il rione di Fontainhas che a seguito della sua distruzione (parallelamente l’uomo subisce un colpo altrettanto devastante: l’abbandono della moglie) cerca disorientato i propri figli e figliastri, sagome che vivono al confine tra buio e luce, quindi tra ciò che è stato: gli ultimi detriti ancora in piedi, e ciò che sarà: Vanda Duarte nella nuova abitazione e nelle vesti ugualmente nuove di madre e di figlia.
In questo trapasso temporale il cinema di Costa si colloca paradossalmente nel presente, nell’adesione totale al tempo reale. Se Ossos (1997) possedeva ancora delle zigrinature di finzione, i due film successivi appiattiscono anche il più piccolo dei dossi artificiali. Eppure catalogare come pseudo-documentaristiche le riprese di Costa appare come la sottostimazione di uno stile che in Colossal Youth si avvicina come non mai ai suoi genitori putativi (Straub e Huillet) per impostazione delle inquadrature e posizionamento degli attori in scena, un credo artistico ostile ad ogni forma di partecipazione emotiva, estenuante ed essenziale: Costa è uno di quei registi-entità che col proprio lavoro sondano le istituzioni del cinema: immagine, suono, spazio, tempo. Solo che per questo, vogliategli bene.