La questione che ci pone Colpa delle stelle è il “come” piangere. Sì, perché Josh Boone, che dimostrare di sapere alla perfezione come far piangere sia molto più facile di far ridere, lo fa nel modo più banale e spudorato, fastidioso e facilone, proponendoci un film mieloso e cremoso, dove o almeno un pochino ti commuovi o sei un orso insensibile e anti-romantico.
Ma calcare troppo la mano può condurre alla risata isterica sia di quella fetta di pubblico che hai inaspettatamente spinto al cinema (gli over 25) sia quella che hai eletto a priori come tuo target (gli under 18). Colpa delle stelle si fa così ridondante e prevedibile da non poterne più. Guardi l’orologio e manca ancora un’eternità. E proprio questo è un altro difettuccio del film: la lunghezza. Due ore piene sono un po’ troppe, una bella sforbiciata a un’ora e mezza sarebbe stata salutare.
Tutti fattori di un film che può non piacere (a me non è piaciuto!), ma che non possiamo definire brutto tout court. Colpa delle stelle parte bene, con una voce narrante che subito ci mette in guardia sulla tragedia che si consumerà, con due bravi attori giovani, con la voglia di piangere a volontà, ecc. Ma la sceneggiatura prende presto la piega di un lungo messaggino d’amore scambiato tra due compagni di prima liceo, privato però di ogni genuinità, rincarato in artificiosità. Risultato: Colpa delle stelle fa così piangere da far ridere.
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