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Colpevoli dimenticanze: Il Beato Guglielmo Cuffitella

Creato il 12 marzo 2012 da Postscriptum

Colpevoli dimenticanze: Il Beato Guglielmo Cuffitella

Intorno all’altorilievo di un santo (quasi) dimenticato.

Ebbene, potrà capitare a molti di percorrere longitudinalmente la copertura d’un antico corso d’acqua torrentizio; non ignorando che il tortuoso viottolo prenda appellativo nello stradario cittadino proprio in ragione di quel fiumiciattolo sotterraneo (un fiumillo, potrei scrivere); senza accorgersi tuttavia che in prossimità di un ormai dismesso mulino, alzando il capo al secondo piano di una costruzione novecentesca, dai rimandi nei residui fregi ad un liberty un po’ in ritardo, incastonato in un posticcio anfratto, vi è una statuetta (un altorilievo) di un San Guglielmo risalente probabilmente a quel periodo che girovaga intorno alla fatidica data del 1693.

Colpevoli dimenticanze: Il Beato Guglielmo Cuffitella

Ma sono cose che scrivo con grande cautela, basandomi semplicemente su deduzioni logiche e non su una mia accertata perizia in campo artistico. Le mie conclusioni (illazioni) si riferiscono alle sproporzioni e alla rudimentale manifattura, non tipica di quel rigoglioso barocco (anch’esso in ritardo) di ricostruzione, tipico delle nostre zone, unico motivo di velleitarie utopie turistiche del tutto locali. Avanzo con altrettanta prudenza l’ipotesi che tale statuetta faccia parte dei resti di quella demolita ala della vicina chiesa annessa ad un Convento dei RR. PP. Osservanti, sito anticamente in zona detta “semplicemente” della Senia (da non confondere con la Senia Vecchia, ci avverte il Canonico Pacetto). Residuo di quelle operazioni dal gusto ed opportunità discutibile, agli occhi del nostro moderno modo di vedere le situazioni urbanistiche lasciateci dagli sciagurati predecessori. Ma probabilmente siamo tutti “predecessori” di qualcosa, dunque non val la pena soffermarsi.

Colpevoli dimenticanze: Il Beato Guglielmo Cuffitella

Il punto dubbioso si presentava nelle similitudini tra il Beato Guglielmo ed il più blasonato San Francesco di Paola, soprattutto nel riferimento alla lunga appendice della cocolla, ben visibile sulla parte anteriore del busto, nell’alto rilievo di via fiumillo. Nella mia pochezza mi sento comunque di negare alcuna prova di confusione, in tale elemento. Tale componente è elemento costitutivo sia dell’abito tipico Francescano che di quello pertinente all’ Ordo Minimorum di cui è fondatore San Francesco il “paolotto”.

Eppure la mentalità umana, talvolta, è portata a complicare la situazione data, per il solo gusto di contraddirsi da soli, in barba al pur  (ana)logico ragionamento riferentesi ad un altro Guglielmo, proveniente da Ockham. Spesso il turista di passaggio può imbattersi in edicole o ancor meglio nei cantonali degli antichi palazzi nobiliari ed aver modo di esaminare quegli elementi architettonici sacri che le famiglie andavano scegliendo al fine di farsi protegger casata e prole. Frequente è il rinvenimento, in molti di tali simulacri, delle sembianze ideali di uno dei perpetui santi patroni di Sicilia, per l’appunto il calabrese San Francesco da Paola. C’è da aggiungere che il santo dal saio nero, è spesso associato – non so quanto appropriatamente – ad ambiti massonici. Nella forma più ingannevole, capita talvolta di leggerlo addirittura quale Santo Protettore della Massoneria. Ad ogni modo, tale presenza probabilmente non è un caso, in un momento – il ‘700 – in cui si assiste ad un ingente numero di affiliazioni e in generale in un periodo di forte interesse per il fenomeno delle società segrete.

Tornando al tema di questo scritto, i motivi di similitudine tra Guglielmo e Francesco non sono pochi. Entrambi guariti miracolosamente, entrambi dapprincipio eremiti e legati al saio, ambedue dotati di bastone (seppur di lunghezza diversa), uno in ragione dell’incidente di caccia e l’altro a causa di una caduta nella vecchiaia. Fattore decisivo per l’assimilazione tra i due potrebbe essere la vicinanza d’intenti, Il calabrese fondò un ordine di mendicanti e Guglielmo era anche soprannominato Cuffitella, per via di una borsa che portava sempre con sé, ove racimolava le elemosine. Quest’ultimo, tra l’altro, elemento non presente nell’altorilievo di via fiumillo, a meno che non si voglia pensare che la mano destra sul petto non impugni qualcosa del genere (ipotesi fantasiosa). Ennesimo attributo comune è il mantello, mentre una sostanziale differenza risiede nel cappuccio, sempre indossato sul capo nelle illustrazioni classiche di Francesco. La condivisione del protettorato sulle epidemie e la sterilità è prerogativa troppo vaga e societariamente presente in troppi santi per essere tema di discussione, invece mi sembra interessante mettere in evidenza le date fissate per le celebrazioni: San Francesco il due Aprile, il Beato Guglielmo il quattro dello stesso mese. Per il resto, solo grosse differenze, Guglielmo muore nel 1404 mentre Francesco nascerà dodici anni dopo, la canonizzazione quanto la beatificazione risalgono alla metà del ’500.

Colpevoli dimenticanze: Il Beato Guglielmo Cuffitella

Occorrerebbe capire in che termini e soprattutto in quali momenti storici si affermano i due culti nella nostra area geografica, per fondare una sorta di assimilazione dei due religiosi, almeno risiedente nel solo immaginario della pietà popolare, in ogni caso strettamente limitando temporalmente il nostro studio al periodo circostante il famoso terremoto e le ancor più gravi epidemie, carestie, precedenti e conseguenti.

Posso solo vagamente congetturare, partendo da alcuni cenni dell’arciprete Antonino Carioti e dai dati riportati recentemente da don Ignazio La China nel suo Appunti per una storia della pietà popolare a Scicli. Il Carioti, nel settecento, annotava e si lamentava della focosa religiosità cittadina, che in occasione di lunghi periodi di siccità, letteralmente sfondava il portone di ingresso della Chiesa per prelevare il simulacro del beato Guglielmo e condurlo nelle campagne a fare il miracolo. Il professor Bartolo Cataudella, intorno alla metà del ’900, documentando fatti coevi all’arcipretatura del Carioti, riferisce notizia di una popolazione inferocita che gettava la statua nell’abbeveratoio, per punirla del ritardo nell’eseguire il volere dei suoi fedeli.

Erano tempi in cui ci si stancava facilmente di un santo poco servizievole, si dimenticavano i miracoli passati e si sceglieva subito un nuovo testimonial sacro.

Senza contare che da sempre la società (cristiana, nel nostro caso) non solo mutua figure, feste e tradizioni che appartengono ad usi e costumi precedenti, ma talvolta utilizza lo stesso sistema con ciò che attiene pur alla sua paternità e appare ormai segnato dai logoramenti del tempo. Ci si intenda, questi lodevoli processi, talvolta involontari, sono connotati senz’altro di valenza positiva.

E poco importa se Francesco è nato dopo Guglielmo, qui bisogna andare a capire ciò che il “grande io collettivo”, più o meno inconsciamente, andava assorbendo – e soprattutto come lo faceva – in quella fase storica.

Per cui, concludendo, non mi sento di negare l’eventualità di una possibile confusione di santi, nell’intento degli artefici di molti manufatti, come anche nella rappresentazione dell’altorilievo di via fiumillo, pur nella certezza dell’identità apparente, senz’altro di ordine guglielmita. In fondo la cosa è poco importante. Non esiste professore – o pontefice – che possa dirigere pienamente, intimamente, la credenza e la fede popolare, decretando o meno la santità di qualcuno o qualcosa; come – mi sembra sotto gli occhi di tutti – non occorre una laurea in scienze politiche per fare politica.


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