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Nel suo celebre dipinto “Il sole sul cavalletto” (1973) Giorgio De Chirico ci accompagna in un teatro, la cui essenza viene suggerita dai due tendoni arrotolati ai lati. C’è una poltrona a sinistra e il cavalletto di un pittore sulla destra. Sullo sfondo una finestra si apre su un paesaggio mediterraneo. Sul cavalletto un sole giallo è unito da un filo ad un identico sole nero sullo sfondo. Una luna nera, attraverso un altro filo, è unita ad una luna gialla in primo piano, appoggiata sulle assi di legno del palcoscenico.
Una singolare rappresentazione del doppio a cui sarebbe interessante riuscire oggi a trovare una chiave interpretativa. Il saggio di Willard Bohn "The Rise of Surrealism: Cubism, Dada, and the Pursuit of the Marvelous" cerca una risposta nelle opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, il cui pensiero, forse più di quello di chiunque altro, influenzò il pittore. Nelle pagine del saggio l'Autore individua così gli elementi che governano l’intera produzione artistica di De Chirico: da una parte gli elementi che danno corpo all’impulso apollineo, cioè un impulso razionale, che porta equilibrio nell’uomo, dall’altra parte le ispirazioni che assomigliano invece all’ebbrezza estatica e che incorporano l’istinto dionisiaco, un impulso irrazionale alla vita. Le opere di De Chirico rappresenterebbero in quest’ottica una dicotomia, ovvero un perfetto equilibrio tra lo spirito dionisiaco e lo spirito apollineo, un’armoniosa simmetria di contrasti di cui scorgiamo l’emanazione nella dualità degli astri.
Ma noi oggi stiamo tentando un'altra strada, una via interpretativa che ci porta sin nei più profondi recessi degli Yellow Mythos. Ricordate l'incipit del primissimo post di questa serie? Quello che diceva "Lungo la spiaggia onde di nubi si frangono, i Soli gemelli s’affondano nel lago, le ombre si allungano in Carcosa. Strana è la notte in cui sorgono stelle nere e strane lune ruotano nei cieli"? Non notate anche voi una vaga somiglianza tra le opere di Giorgio De Chirico e le parole di Robert W. Chambers? Deve evidentemente notato qualcosa anche il nostro Alessandro Girola, al quale avevo già accennato nel mio post precedente e che, come promesso, è qui oggi con noi a raccontarci la genesi di quel suo ormai datato racconto "Veduta di Carcosa".
Su Alessandro Girola credo si sia già detto tutto: milanese, classe 1975, blogger, recensore e soprattutto scrittore "orgogliosamente autoprodotto per scelta consapevole". Grande appassionato di horror e fantascienza, è anche co-autore di numerosi progetti di scrittura collettiva, tra i quali citiamo il glorioso (e imitatissimo) progetto "Survival Blog" e il più recente "2MM", del quale è stato appena annunciato lo spin-off "Darkest".
Il racconto "Veduta di Carcosa" rappresenta se vogliamo il prototipo di ciò che Alessandro andrà a scrivere negli anni successivi, miscelando egregiamente ambientazioni a noi abituali con paesaggi metafisici, aggiungendo qua e là un pizzico di leggende metropolitane e mescolando il tutto con generose dosi di horror. Tra i suoi ebook, di cui vi invito a consultare la pagina dedicata per l'elenco (quasi) completo, segnalo in particolare "Milano Doppleganger" (recensito qui da me circa un anno fa) e il dittico di "Mondo Delta", tra i primi suoi lavori che, personalmente, ho letto.
Risale invece al 2010 il racconto "Veduta di Carcosa", contenuto nel volume "Progenie - Ritorno all'incubo" delle Edizioni Scudo, una raccolta di racconti horror ispirata alle opere del solitario di Providence. Il volume, la cui versione digitale è scaricabile gratuitamente da qui, è impreziosito da una postfazione del mitico Danilo Arona, maestro indiscusso della letteratura horror italiana.
Ma ora basta chiacchiere. È giunto il momento di cedere il microfono ad Alessandro e di entrare diretti nell'argomento, soprassedendo su inutili convenevoli.
T.O.M.: Ciao Alex, e grazie per aver accettato di essere mio ospite su “The Obsidian Mirror”. Credo sia chiaro che gli “Yellow Mythos”, di cui stiamo parlando da qualche tempo su questo blog, siano tra i tuoi interessi. Lo prova l’esistenza stessa del racconto “Veduta di Carcosa” (e anche un post apparso sul tuo blog nel giugno scorso). Vuoi raccontarci come è avvenuto il tuo incontro con “Il re in Giallo” e cosa ti affascina di quel mondo?
A.G.: Il mio incontro con Il Re in Giallo è avvenuto molti anni fa, quando ero nel pieno del mio periodo lovecraftiano. Trovai, non ricordo bene in quali delle tante antologie pubblicate tra il finire degli anni '80 e l'inizio dei '90, una lunga prefazione in cui venivano analizzate le influenze di Chambers su Lovecraft e le affinità tra i due (che, per inciso, secondo me arrivano fino a un certo punto, non oltre). Se devo essere sincero non ho mai approfondito il discorso relativo a quelli che tu definisci giustamente gli “Yellow Mythos”, di cui quindi la mia conoscenza è limitata allo standard degli appassionati di un certo tipo di letteratura. Di quel mondo mi affascina una rappresentazione dell'orrore che ancora oggi appare originale e inquietante, non essendo essa né strettamente psicologica né “banalmente” materiale. Chambers si pone in un punto narrativo che pochi, almeno finora, hanno provato a sviluppare attraverso la letteratura di genere.
T.O.M.: Nel tuo racconto immagini che le opere di De Chirico non siano altro che una rappresentazione della città di Carcosa. Vuoi dirci come ti è venuta questa idea geniale?
A.G.: Non so se l'idea sia geniale o semplicemente furbetta :) Sono un grande ammiratore di De Chirico da tempi non sospetti. Subisco la fascinazione delle sue opere, che indubbiamente richiamano alle famose “geometrie non euclidee” di Lovecraft, pur senza farlo con volontà d'intento. Le medesime geometrie che, così almeno dicono gli esperti, Lovecraft avrebbe citato nei suoi racconti, ispirandosi alle atmosfere di Chambers.Una concomitanza di fattori che mi ha dato lo spunto per il racconto in questione. Mi piace molto la potenza evocativa che De Chirico trasmette attraverso i suoi quadri, un senso di alienante solitudine, ma da non intendersi in senso strettamente negativo. Direi piuttosto che nelle sue opere c'è un desiderio di fuga dalle miserie, dai limiti delle emozioni umane. O almeno, questa è la mia personalissima interpretazione.
T.O.M.: Il racconto cita un soggiorno ferrarese di De Chirico proprio nel periodo da te indicato e, particolare non trascurabile, anche l’aspetto esoterico dei suoi lavori è comunemente oggetto di discussione. È quindi evidente che non hai lasciato nulla al caso ma che, anzi, c’è stato da parte tua un gran lavoro di ricerca prima della stesura di “Veduta di Carcosa”. Si tratta di una tua abitudine consolidata? Quanto ritieni importante la fase di preparazione per uno scrittore?
A.G.: Assolutamente sì. Ogni mio lavoro conta diverse ore, se non interi giorni, di ricerca preventiva. Odio lasciare le cose al caso e trovo che Internet sia uno straordinario strumento per documentarsi, evitando così l'orribile difetto dell'approssimazione (io lo considero tale). Inoltre documentarsi per scrivere un racconto è bellissimo: si imparano un sacco di cose nuove, partendo da nozioni già in nostro possesso. Attualmente, scrivendo la mia saga di fantasy storico “Venatores”, mi sto facendo una vera e propria cultura riguardo ad alcuni aspetti del Rinascimento che, viceversa, non avrei mai avuto occasione di studiare.
T.O.M.: Hai scritto “Veduta di Carcosa” nel 2010, quindi possiamo dire ormai diverso tempo fa. La definiresti una tua “opera giovanile”? Ne sei soddisfatto oggi come allora? Se ti chiedessero di trasformare il racconto in un romanzo di quattrocento pagine cosa risponderesti?
A.G.: Senz'altro lo ritengo un racconto che appartiene agli anni in cui non padroneggiavo la scrittura quanto riesco a fare ora. Non si tratta di superbia, bensì di una considerazione oggettiva. Con l'esperienza, il tempo e l'impegno si migliora. Nel 2010 ero ancora un “aspirante scrittore” (termine invero odioso, ma vabbé...). Nel 2014 sono uno scrittore e basta. Posso non piacere, tuttavia ammetto di aver trovato una mia voce e un mio stile.Riguardo alla seconda parte della domanda la mia risposta è “no grazie”. Tendo a non scrivere più romanzi lunghi, preferisco la “mezza misura”, che ben sia adatta al mio essere un autore prettamente digitale. Certo, potrei recuperare “Visione di Carcosa”, espanderlo, aggiustarlo e ricavarne un ebook. Questo sì!
T.O.M.: Un anno fa di questi tempi eri appena uscito con “Milano Doppleganger”, un ebook che narrava la vicenda di un cercatore di “tesori perduti”, per certi versi molto simile al giovane professore protagonista di “Veduta di Carcosa”. È solo una mia impressione?
A.G.: No, non è una tua impressione. La figura del “ricercatore” di sapere mi piace molto, specialmente se calato in un contesto moderno o contemporaneo. Viviamo tempi in cui la gente se ne frega abbondantemente di tutto ciò che non appare a prima vista. Ci si accontenta della superficie delle cose, della banalità portata all'estremo, della futilità elevata a religione. Non sono affatto un talebano della cultura (chi segue il mio blog lo sa!), tuttavia mi piacciono quegli individui che cercano conoscenze che oramai ai più sono indifferenti, per non dire del tutto sconosciute. “Tesori perduti”, come li chiami tu, ma più affascinanti dell'oro e del denaro.
Nel ringraziare Alessandro per averci tenuto compagnia in questo chilometrico post, mi congedo da voi forse con più questioni irrisolte di quante ne avevamo all'inizio. Giorgio De Chirico è davvero una chiave per aprire le porte di Carcosa? Non lo sappiamo, ma il bello di questa serie di articoli sugli "Yellow Mythos" è forse proprio il lasciare sempre aperte nuove possibilità. Dove ci porterà la nostra avventura? A questo punto ho paura che dovremo attendere il 2015 per scoprirlo.
Nel frattempo, se vivete a Milano o dintorni, vi segnalo che nel Serrone della Villa Reale di Monza, fino al prossimo 1 febbraio, è visitabile la mostra Giorgio De Chirico e l'oggetto misterioso, promossa dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, ideata, prodotta e organizzata da ViDi in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico. Tra le opere esposte, neanche a farlo apposta, c'è anche “Il sole sul cavalletto”, citato proprio in apertura di articolo. Un'ottima opportunità per immergersi completamente nell'incredibile mondo del Pictor Optimus.
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