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Colum McCann Questo bacio vada al mondo intero

Creato il 15 novembre 2013 da Frmagni
Colum McCann Questo bacio vada al mondo intero
Scritto da: Angelo Di Liberto

Colum McCann Questo bacio vada al mondo intero (Rizzoli, 2010, pp. 451, € 11,90).
Una fune sospesa sull’abisso. Una partita col destino, una passeggiata nel vuoto della propria esistenza, nel disperato tentativo di colmarla. Sul cavo d’acciaio che il 7 agosto 1974 venne percorso, in una camminata memorabile, da Philippe Petit, sospeso a 110 metri d’altezza tra le due torri gemelle del World Trade Center, scivolano le storie di un’umanità al limite del baratro.
Non ci sono appigli, né reti di salvataggio. Ciascuno fa i conti con i propri demoni.
La paura a farla da padrona. La si respira, la si tocca, la si consuma quotidianamente. È in bocca, sapore acre sulla lingua; è nelle orecchie, rumore inquietante di passi; è nel cuore, tachicardia di battiti impazziti. Ogni organo, ogni viscere ne è espressione.
La si percepisce nel cigolio di una porta, nello stridore delle ruote contro l’asfalto, nello sguardo di una donna che ha avuto il coraggio di dire troppo, nello squillo di un telefono che si è fissato a lungo.
Colum McCann disegna egregiamente la mappa di una città corrosa dal dolore e dal senso di colpa, sospesa in un fragile equilibrio di esistenze che s’intrecciano, l’una dipendente dall’altra secondo un rapporto di reciprocità clandestina.
Un monaco di strada che consacra la sua vita al servizio delle prostitute nel Bronx; una di loro, ancora ragazzina, si offre insieme alla madre tra i marciapiedi di un quartiere degradato; un gruppo di donne che ha perso i propri figli nella guerra del Vietnam; un’artista schiava di sostanze stupefacenti e di un matrimonio arrivato al suo capolinea.
Apparentemente inconciliabili, gli attori di quest’opera sono accomunati da un unico afflato, sospesi su quella fune che dall’alto li domina e li proietta in un nuovo destino.
E l’equilibrista che esegue il numero, che gioca con la sua vita in una manciata di minuti, ne è la sintesi.
Ciascuno di loro ha coscienza dell’abisso e nello stesso tempo ha fede nel proprio risveglio. Ma non una fede consapevole. Nessuno vi si è immedesimato a tal punto da riconoscerne la preziosità. Si preferisce sistemarsi in un luogo più semplice, meno gravoso, in cui scrollarsi di dosso responsabilità e continuare a condurre per mano i propri fantasmi.
Accade spesso così anche nella nostra vita, fino a vivere in ciò che ci immaginiamo piuttosto che in ciò che siamo.
Solo che a un certo punto la nostra vita ci precede, corre, accelera sulla strada dell’esistenza. Manda su di giri il motore, fugge su traiettorie inusuali, incontrollate. Non siamo più padroni delle nostre azioni. Tutto sembra avviarsi verso un orizzonte, verso la fine. A nulla serve frenare o sterzare.
“Quello che avrebbe dovuto essere un innocuo tocco dei freni, o una lieve sterzata, si era invece trasformato nell’insondabile”.
Ed ecco che due prostitute, un monaco, un’artista fallita, un gruppo di donne addolorate, s’incontrano nell’unica strada possibile: quella della Bellezza e del Perdono.
Per un istante levano gli occhi al cielo e guardano il proprio dio. Ciò che vi scorgono è quel puntino nero sospeso nel vuoto, incurante del vento, che continua imperterrito il suo cammino. Un minuscolo trattino davanti all’immensità.
E in quell’istante la loro vita si compie, raggiunge lo scopo, si trasforma anch’essa in un trattino, che si unisce agli altri in una sospensione di tempo, in una collisione esistenziale ineluttabile.
Può un essere umano reggere il peso della bellezza?
“La bellezza, come sola, intima ragione. Camminare era un diletto divino. Lassù nell’aria tutto fu riscritto. Nuove cose divenivano possibili con la forma umana. Ben oltre le leggi dell’equilibrio”.
In terra, quell’umanità alla deriva giunge al proprio destino, chiude un cerchio, reca un po’ di rumore nel silenzio.
C’è qualche speranza che questa desolazione porti conforto?
È una domanda che risuona continuamente; è un verso tratto dalle “Mu’allaqat” che il poeta Lord Tennyson utilizza per comporre “Let the Great World Spin”, frase che è il titolo originale del testo di Colum McCann.
Forse è possibile. “Troviamo in altri di che andare avanti. È quasi abbastanza”.
Estraiamo la luce dal buio, cerchiamo di trattenerla. Dipingiamo la vita sui nostri volti che scolorano. Incontriamo gli altri, incontriamo noi stessi, incontriamo il mondo. Il mondo gira.
Let the Great World Spin.


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