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Coma sociale e bancarotta

Creato il 08 marzo 2016 da Albertocapece

Grafico Debito - PilL’Italia è stata senza accorgersene il laboratorio della crisi e del nuovo ordine, quello dove i dottor Mabuse di Bruxelles, Berlino, Washington e Wall Street hanno sperimentato da una parte la distruzione dell’odiato stato sociale e l’assorbimento coloniale dell’apparato industriale, dall’altro la sperimentazione  della cancellazione della politica e la sua sostituzione con una “machina” teatrale sostenuta e interpretata dai media. L’esperimento è perfettamente riuscito: gli italiani non si sono nemmeno accorti del disegno generale e sono corsi scompostamente a difendere le loro corporazioni reali e/o mentali oltre che il loro guicciardinesco “particulare”. Naturalmente hanno perso sempre e comunque non avendo altra aspirazione se non la salvezza personale e soltanto ora, quando comincia a delinearsi il redde rationem, si affaccia l’idea che non siano state la Spagna o la Grecia o l’umbratile Portogallo ad essere nella provetta del dottor Liberista Pazzo, ma proprio il Bel Paese.

Il grafico che ho prodotto ( per ingrandirlo cliccarci su) e che compare all’inizio del post lo rivela senza possibilità di equivoco:  9 anni di massacri sociali, moria di diritti, job act, privatizzazione forzata della sanità, predazione delle pensioni, narrazioni di riprese impossibili, pareggi di bilancio in Costituzione e ben tre governi di  palazzo, tutti decisi a fare i compiti a casa la situazione è questa: il pil nominale (quello che cioè incorpora l’inflazione), dai 1609 miliardi di fine 2007 è passato ai 1636 di fine 2015, il che vuol dire che in termini reali è calato di 6 o 7 punti, mentre il debito pubblico dai 1606 miliardi di fine 2007 è arrivato ai 2170 miliardi di fine 2015. In una parola il disastro totale: i drammatici sacrifici cui sono stati sottoposti i ceti popolari e i ceti deboli non sono serviti proprio a nulla, anzi hanno enormemente aggravato la situazione con il rallentamento dell’economia reale per cui da un  rapporto deficit pil vicino al 100% si è passati al 133%.

A questo punto non potendo realizzare un aumento del pil di oltre 500 miliardi le strade da percorrere sono poche e obbligate: sfascio completo di quel che resta del welfare e una nuova valanga di tasse con un’inevitabile patrimoniale destinate ad affossare ancor più l’economia oppure la preparazione di una ristrutturazione del debito pubblico, ovvero un default. Da queste ipotesi di grecizzazione avanzata non si scappa e tuttavia l’eradicazione delle capacità di reazione politica del Paese (tema reale dell’esperimento), fa sì che che ancora si stia a traccheggiare come se la situazione fosse molto meno grave di quella che è per non parlare dei citrulli che ancora credono a un miglioramento. Un cadavere torturato viene gettato in mezzo agli ingranaggi delle relazioni Italia – Egitto dagli stessi per cui lavorava e noi ad abbozzare e a leggere le sciocchezze del giornalone unico ovvero Repubblica a Stampa e i suoi sottocoda salottieri della fintissima sinistra manifestosa. Operazioni di distruzione totale delle pensioni e del welfare vengono portate avanti con operazioni seminascoste di guerriglia parlamentare mentre l’attenzione viene distratta dalla guerra di Libia, in cui Cazzaro da comparsa neghittosa qual è, cerca di  spacciarsi come protagonista, anche qui nella quasi completa indifferenza rispetto alle conseguenze. Come se non intuissimo che al creatori dell’Isis non importa un fico secco di sconfiggerlo nello scatolone di sabbia, ma vogliono appropriarsi di risorse petrolifere a basso costo oggi gestite principalmente dall’Italia.

L’elenco sarebbe lungo ed è inutile intonare un rosario peraltro risaputo, ma una cosa è certa: senza politica vera, con idee, pensieri, progetti e non twitter o frasi fatte, vecchi servi ottusi, banditi incalliti, salotti dabbene capaci solo di sfoderare il birignao d’antan e facce da talk, non se ne uscirà. Finché continueremo a scambiare la pace sociale con il coma sociale tutto sarà perduto.


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