Combat journalism vs Homemade journalism

Creato il 17 gennaio 2013 da Cicciotopo1972 @tincazzi

Chiama l’Omo, e sta’ certo che quello
fa er crumiro co’ vera passione
Per un sòrdo se venne er fratello,
Pe’ du’ sòrdi va dietro ar padrone,
finché un giorno tradisce e rinnega
er fratello, er padrone e la Lega” (Trilussa, ‘Le bestie e er crumiro’)

Giornalismo da combattimento, tradotto in italiano. Un termine che in Italia, nell’accezione fatta da Matthew Continetti, giornalista ‘conservative’ del “Washington Free Beacon“, non esiste:  ”Simply put, combat journalism is research, reporting, and writing that takes no prisoners. The more closely one follows the news, the more one notices that the mainstream media apply a far different standard to conservatives and Republicans than to liberals and Democrats“.  In Italia questo, lo ripetiamo due volte, non esiste. Ma non parleremo in questo post dell’argomento partigianeria giornalistica italiana.

Vorrei invece rubare il termine e usarlo nella sua definizione letterale. Giornalismo da combattimento, diventa, oggi, così, la trasposizione del soldato, inteso come macchina militare, al giornalista freelance.

In che senso? Il freelance, oggi per lavorare, deve avere a portata di mano un ufficio vero e proprio. Smartphone, Nettop, registratore audio, videocamera. Tutto in uno o più zaini sempre dietro. Se non sapete usare più o meno tutto e in maniera soddisfacente (non buona, perchè per quella rimangono i professionisti del video, dell’audio e della fotografia, che non si possono e non si debbono sostituire), a seconda delle necessità, siete già tagliati fuori dal mercato. Il Freelance oggi, 2012, deve essere al di sopra, a livello teconologico e di preparazione, a chi sta in redazione.

1-Specializzazione. Il giornalista deve specializzarsi. La formazione e l’aggiornamento sono importantissimi. Vanno spesi soldi, signori, per questo. In libri e corsi.  E tanto tempo a studiare. Ovviamente non si può non sapere almeno una lingua straniera, sarebbe meglio due o perlomeno farsi capire e comprendere nella seconda. Specializzarsi significa maneggiare completamente una materia, una regione, uno stato, etc. Non il mondo, ovviamente, e non si può passare dall’economia agli interni, dagli esteri alla cronaca, senza passare anche da specializzato a tuttologo (il che equivale a uno che non sa un cazzo di niente). Il cronista può tranquillamente essere sostituito da un altro cronista, perchè ce ne sono a migliaia, il giornalista specializzato è un po’ più difficile da sosituire per il semplice fatto che ce ne sono di meno.

2-Conoscenza della rete e Dotazione. La conoscenza della rete deve essere continuamente aggiornata. Non si possono saltare o perdere i treni tecnologici, pena l’esclusione dal mondo del lavoro. Chi oggi non sa usare egregiamente internet e tutti i social network, utilizzare un programma di montaggio audio o video (anche basilarmente, ma deve saperlo fare) è già perdente in partenza. I mezzi per produrre informazione sono altrettanto importanti. E’ capitato che colleghi chiamati da alcune radio per fornire loro pezzi chiusi, si siano trovati in difficoltà perchè il registratore che avevano non soddisfava i requisiti tecnici per essere mandato in onda (E’ capitato anche a me). Il che vuol dire che i registratorini da sotto i 150 euro li potete buttare o regalare ai nipotini.

3-Oltre la multimedialità. Oggi il freelance se vuole farcela non deve essere solamente ‘multimediale’ ma anche capace di andare oltre la stessa professione di giornalista tout court, sconfinando in quella di producer, interprete, fixer per altri giornalisti. Essere capaci di lavorare non solo nello spazio dei media tradizionali, ma in una versatilità e specializzazione, appunto, richiesta da grandi aziende e Ngo. Conoscere un  luogo, come in Africa O Medioriente, significa avere una rete di contatti capace di gestire anche la logistica, se serve, per realizzare un progetto o un evento in quel luogo.

4- Localizzazione. Se state Barletta o a Mondovì, le vostre possibilità di lavoro saranno talmente basse da essere nulle o dirette verso il girone dei 5 euro a pezzo. Se aspirate a qualcosa di più, dovrete sportarvi verso Milano o Roma, sempre che vogliate lavorare per testate o televisioni nazionali. Le testate più importanti sono a Milano e Roma, così come le televisioni, ma non ve lo devo dire di certo io. Stare e rimanere in un paese o città differente, vi taglia fuori quasi completamente dalla possibilità di lavorare sul nazionale. E se non provate a giocarvela spostandovi è inutile poi piangere e fare le vittime (sudiste o nordiste le lagne sono sempre uguali).

Questi sono quattro cardini irrinunciabili per poter pensare di svolgere la professione di freelance, oggi, ma per chi fa esteri la cosa diventa ancora più complicata, selettiva ed elitaria.

Qui entra in gioco in pieno  il concetto di combat journalist. Qui il freelance diventa quasi un soldato. La macchina deve essere perfettamente oliata, non ci devono essere possibilità di errore, non esiste l’approssimazione. Non si parte se non si hanno soldi in tasca e  certezze nel fare i pezzi e non si parte solo per una testata. Insomma, dovete muovervi e dovete farci i soldi. All’inizio sarà molto difficile, si andrà in perdita, si faranno errori, ma tutto serve. Ma se dopo diverse esperienze e tempo non siete in grado di tirarci fuori lo stipendio, mollate tutto,  la cosa non fa per voi, soprattutto in un mercato come quello odierno.

Oggi il reporter che copre esteri e in special modo zone di crisi  e di conflitto deve avere, sin dall’abbigliamento e dalle dotazioni (molte mutuate dall’outdoor), la certezza di essere completamente autonomo ed autosufficiente in tutte le situazioni. Per coloro che vogliono intraprendere gli esteri, la superficialità e l’incapacità di adattamento a tutte le situazioni sono la loro morte. Lo zaino tattico o uno zaino da trekking per il vestiario, zaino fotografico per contenere materiale, computer e tutto quello che ci serve per lavorare, hard disk resistenti agli urti, pantaloni multitasche etc. Saccoletto, giubbotto antiproiettile, torcia da minatore sono solo alcune delle decine di cose NECESSARIE per muoversi e adattarsi alle circostanze. E sono cose che ti devi saper portare dietro anche tutte insieme (anche 30 kg in più addosso, tra due zaini più il sacco con il giubbotto antiproiettile).  Insomma meglio pensare di finire in un ginepraio e poi non succede nulla, che pensare di finire in un albergo a 5 stelle e poi rendersi conto di non essere neanche capaci di cavarsela per inviare un pezzo o dormire. Il freelance è da solo, non c’è una crew, non c’è una redazione di appoggio e le sue responsabilità e compiti sono maggiori.

In giro è pieno di persone che credono di infilarsi in una situazione del genere come si infila il turista fai da te e non conoscendo nulla o quasi della realtà sul terreno. Fare questo lavoro in modo professionale significa assumere anche un atteggiamento calcolatore dei rischi e l’esperienza necessaria ad uscire da situazioni critiche. Qui diventiamo soldati, non c’è spazio per gli approssimati e gli avventurieri della domenica. C’è in ballo la vita.

Combat journalist vs Giornalista fai da te

Oggi assistiamo ad una continua decadenza della professione. In Italia il declino è evidente e sembra irreversibile L’ultimo rantolo dell’Ordine dei Giornalisti, ordine che avrebbe ancora qualche o forse nessun motivo per rimanere in piedi, è stato il circo Barnum della stramba “legge sull’equo compenso“, che a dire inutile e inattualizzabile si è fin troppo bravi.  Il sindacato nazionale, la Fnsi, segue a ruota l’Ordine in fatto di demagogia. I giornalisti sono allo sbando, continuano ad essere sfornati centinaia o migliaia di tesserini l’anno e le prospettive lavorative di un buon 80% della manodopera nel settore dell’informazione non lavorerà mai o continuerà a farlo in condizioni pietose. E questafantalegge non risolverà assolutamente nulla.

Vige in Italia nell’informazione la regola della casta, che perpetua e difende sè stessa, che da ai figli ciò che era dei padri, che introduce e nomina nuovi nobili su indicazione dei principi e del parlamento dei molti. Per casta ovviamente intendiamo quella dei garantiti, gli interni nelle redazioni, coloro che hanno ancora un contratto a tempo indeterminato. Molti di loro sono sensibili a ciò che avviene fuori dalle mura del castello, ma non sanno che fare e come. Ci sono i principi/editori, che hanno i loro servi della gleba ma c’è anche qualche nobile illuminato, mentre fuori dal castello migliaia di contadini incazzati vorrebbero entrarci e sostituire i nobili al suo interno, istituendo una nuova società chiamata Utopia. E poi ci sono i guerrieri, quelli che non fanno parte nè della casta dei sacerdoti/nobili, nè di quella degli artigiani/contadini. I guerrieri combattono anche tra di loro e contro chiunque si pari davanti a loro. I guerrieri hanno il senso dell’onore e della dignità e piuttosto che finire schiavi muoiono.

Questa trasposizione medievaleggiante serve a un attimo a definire in realtà ciò che oggi succede, dove nella categoria dei contadini incazzati troviamo i giornalisti per hobby, quelli fuori tempo, i sognatori mancati, gli illusi e molti disposti a vendersi per due monete. Tra di loro ci sono anche tanti buoni giornalisti, che però non capiscono la realtà circostante, continuando ad inseguire chimere che la realtà dei fatti ci nega. Una volta quando venivano serrate le fabbriche e si scendeva in sciopero, i sindacati combattevano i crumiri, ovvero coloro che offrivano a prezzi inferiori la loro forza lavoro, e se non c’era la polizia venivano anche giustamente riempiti di botte. Oggi, paradossalmente, i crumiri vengono eletti dall’Ordine dei Giornalisti a modello del giornalista tipo da difendere, mentre coloro che vivono di questa professione, anche a costo di enormi sacrifici personali, vengono estromessi e non considerati. Si difende il cronista magari saltuario del giornale di provincia (destinato a calare sempre di più in termini di vendite e diffusione, in concorrenza con  testate free press che non vivono di contributi pubblici) o il doppiolavorista e non si difendono i giornalisti che svolgono un lavoro qualitativamente superiore e che ci guadagnano, con sudore e fatica, la pagnotta. Questi sono i guerrieri, ma lo sono anche tutti quelli che dicono no a compensi da fame e piuttosto che rinunciare alla loro dignità, fanno altro. A loro va l’onore delle armi. Che si vinca o si perda.

Ci sarebbe da chiedersi e dovrebbero chiederselo anche l’Ordine e il sindacato, chi produce reddito e chi no, chi mantiene in piedi gli stessi ordine e sindacato, chi ha un reddito che dimostri di che cosa vive e come, chi lavora e chi gioca a lavorare. Forse sarebbe tutto chiaro, ma la chiarezza è materia spesso disconosciuta  e nemica di chi muove le leve del comando. Intanto navighiamo a vista, e anche i freelance guerrieri sanno che la battaglia finale arriverà anche per loro. La sconfitta è all’orizzonte per tutti.


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