Bambine e Bambini
“The moral imperative of our century is to achieve full rights
for everyone regardless of gender.”
(Adora Svitak, 15 anni, su Forbes, 9/7/2013)
Quando parliamo di figli, vorremmo che fossero tutti uguali: sappiamo bene, invece, che in realtà sono tutti diversi. Quello che intendiamo è che siano uguali i loro diritti e possibilità, a partire da diverse inclinazioni e identità. Vorremmo che le diversità fossero percepite da loro e da tutti gli altri come ricchezza da coltivare e non come eccentricità da estirpare. Tuttavia, una delle poche differenze di cui si parla è quella di genere, e così nascere bambino o nascere bambina impone una serie di attese e preclude una serie di possibilità al singolo individuo. E se pensiamo che la situazione non sia grave o che magari stia migliorando, possiamo vedere questa immagine, creata da LetToysBeToys, che mette a confronto le stesse tipologie di giocattoli proposte oggi o quarantanni fa, per avere subito chiara la realtà dei fatti: prima alle bambine si dedica il rosa, poi di rosa si colora tutto quanto rinforza il ruolo di cura, escludendone i bambini. Entrambi i generi subiscono la pressione e l’orientamento verso i giochi prima, poi verso i ruoli, che la società ritiene più adatti per loro.
LetToysBeToys
Orientare le scelte di gioco, di studio, di vita in base al sesso delle persone, e non in base alle loro personali inclinazioni, ha molte conseguenze sul piano personale, ma anche su quello sociale: come dice Adora Svitak, nella stessa intervista della citazione iniziale, “women don’t just benefit from being in leadership roles; the world can benefit from women’s leadership.” E questo perché, oltre a richiederlo il senso morale e di giustizia, lo dimostrano i fatti, come sintetizza efficacemente Annamaria Testa, commentando i dati del Gender Gap Index, quando dice che: “dove le donne stanno peggio, l’intero Paese sta peggio”.
Sul tema degli orientamenti di genere a partire dai giochi e sul tema della rappresentazione dell’infanzia nei media, è testimone attivo e attento il blog collettivo Un altro Genere di Comunicazione, che sicuramente molti di voi conoscono. Oggi parliamo del loro impegno e delle loro campagne con Alessia, una delle blogger.
Ciao Alessia, ci dici qualcosa di te e del blog al quale partecipi?
Sono Alessia e collaboro dal marzo del 2012 con le altre ragazze del blog Un Altro Genere Di Comunicazione. Ho 28 anni, sono laureata in Scienze della Comunicazione Interculturale e al momento sto terminando la laurea in Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane.
Le tematiche di genere mi hanno sempre appassionata istintivamente ma col tempo il tutto si è delineato meglio. Affacciarmi ad un mondo misogino in cui sin da bambina sentivo di dover rispondere ad un’idea sociale di donna che non mi corrispondeva deve avermi fatto cominciare a riflettere. La scoperta del lavoro in rete è stata importantissima. Nello specifico, il blog “Un altro genere di comunicazione” è nato nel 2009 dall’idea di una studente, e col tempo è diventato un lavoro collettivo. Le tematiche che ci interessano spaziano in tutti gli ambiti riguardanti discriminazioni e comunicazione di genere: gli stereotipi che caratterizzano i messaggi commerciali, l’immaginario sessista e misogino veicolato attraverso i media, la percezione della sessualità maschile e femminile, la violenza di genere, la comunicazione giornalistica e la tutela dell’infanzia. Raccogliamo e analizziamo materiale che ci viene segnalato anche dai lettori, coi quali ci confrontiamo quotidianamente, e operiamo campagne di sensibilizzazione e di boicottaggio, rimandando anche ad azioni concrete sul territorio.
Stereotipi di genere: puoi darci una definizione e qualche esempio?
Gli stereotipi di genere sono la rappresentazione concreta di idee secondo le quali in base al sesso biologico di nascita esistono prassi comportamentali alle quali attenersi. Questi preconcetti si basano sulla convinzione che esistano solo due generi sessuali, che risultano per natura connotati da precise caratteristiche. Ogni deviazione dalle norme imposte socialmente rappresenta un problema e viene spesso condannata. I simboli, l’immaginario che ci circonda e i media non fanno altro che rafforzare questi pregiudizi e inficiare la libera espressione all’interno delle relazioni. Gli esempi sono moltissimi, dallo stereotipo della maternità imposto dai media, che vuole l’abnegazione della madre, quale unico ruolo genitoriale preso in considerazione, nei confronti dei figli, alla rappresentazione delle relazioni lesbiche, quasi sempre inquadrate come figure contraffatte dall’immaginario pornografico mainstream o come uomini mancati.
Avete anche una campagna dedicata ai più piccoli, “Libera Infanzia” , che ha quattro obiettivi principali volti a ridefinire molte delle rappresentazioni dei bambini e delle bambine proposte dai media. Ce la racconti?
Libera Infanzia è una delle campagne cardine del nostro lavoro. Col tempo ci siamo accorte che l’immaginario legato all’infanzia si distacca davvero poco da quello riservato agli adulti, con la differenza che i bambini e le bambine sono ancora incapaci di codificare tutti i messaggi e spesso agiscono secondo regole imposte da adulti che dicono loro come comportarsi. I risvolti analizzati sono molteplici: la sessualizzazione precoce delle bambine nei programmi televisivi, negli spot e nei cartelloni pubblicitari, che le vede obbligate ad assumere atteggiamenti precocemente seduttivi emulando il concetto socialmente costruito di femminilità riservato alle donne e convincendole dell’importanza di apparire belle agli occhi di terzi sin dalla più tenera età, fino all’adultizzazione che le vede diventare perfette “donnine di casa”, inserendole in un mondo rosa confetto fatto di ammennicoli per la bellezza e la cura di casa e famiglia. Questa campagna, ad esempio, nel 2011 si è occupata di una pubblicità che coinvolgeva il corpo delle bambine, facendo ritirare i cartelloni diffusi dalla ditta olandese After Eden col marchio Boobs & Bloomers (linea di lingerie per bambine e preadolescenti), che ritraevano bambine in posizioni da Lolita.
Generalmente si parla degli stereotipi che ‘imprigionano’ le bambine. Tu hai un figlio maschio, di quattro anni, quali sono gli stereotipi che, complementarmente, si rivolgono ai bambini?
Gli stereotipi di genere riservati ai bambini sono speculari rispetto a quelli riservati alle bambine: i maschi devono dimostrare sin dalla più tenera età di essere forti, insensibili, invincibili; in una parola: virili. Non a caso gli spot pubblicitari li dipingono come piccoli guerrieri, pronti a combattere e a far valere la loro aggressività. I giochi per bambin* sono nettamente divisi per genere, con la risultante che mentre per le bambine esiste un mondo fatato, dove primeggia la tenerezza e l’assertività, ai maschi è concesso divertirsi sporcandosi e praticando sport, o stimolare l’ingegno e la creatività attraverso giochi di logica. Oltre a ciò, vi è anche l’insistenza nel rimarcare la diversità dal “mondo delle bambine” considerato fragile, veicolando messaggi di intolleranza verso tutto ciò che è culturalmente considerato femminile. Questi sono i messaggi reperiti dalle giovani menti dei bambini che diventeranno gli adulti di domani.
Ci sono esempi di Paesi in cui le cose vanno meglio o in cui si stanno attuando misure per contrastare concretamente la diffusione di una visione rigida dei ruoli di genere?
Le discriminazioni di genere sono purtroppo trasversali ad ogni cultura, con la differenza che in Italia i dati relativi al gender gap sono allarmanti. In altri paesi europei si stanno muovendo per cercare di ridurre gli stereotipi di genere fin dall’infanzia, per esempio prevedendo cataloghi di giocattoli non divisi per sesso. Mi viene in mente ad esempio la Svezia, in cui esistono anche asili che basano il loro operato adeguando la didattica all’obiettivo di non discriminare i bambini in base al genere.
Come genitori e insegnanti, quali sono gli atteggiamenti che possiamo praticare per non riprodurre più gli stereotipi ereditati dal passato o ricreati oggi dal mercato?
Innanzitutto è necessario operare un dialogo costante e di confronto coi propri figli. Per quanti sforzi possa fare un genitore, i suoi figli saranno sempre immersi un contesto fatto di educatori non sensibilizzati, compagni, media ecc. che promuoverà una certa visione legata alle differenze di genere. La soluzione non sta semplicemente nel cercare di non esporre i bambini a messaggi sessisti, che recepiranno comunque fuori dalle mura domestiche, ma nel garantire loro gli strumenti adeguati fin dalla più tenera età per decostruirli in un’ottica di rispetto e reciprocità. Chiaramente un genitore interessato alla questione può documentarsi e cercare di evitare qualsiasi atteggiamento discriminante e sessista, che detti regole differenziate “per bambine” e “per bambini”. I genitori spesso tendono a sedare ogni gesto di aggressività delle figlie femmine, così come ogni segno di sensibilità del maschio. L’impegno fondamentale è quello di rendere i propri figli e le proprie figlie liber* di esprimersi come credono, di sperimentare e di costruirsi la propria individualità. Molto spesso sono proprio i genitori ad ingabbiare i propri figli e le proprie figlie in schemi socialmente precostituiti: le bambine sono spesso trattate e inquadrarle come bamboline che non possono sporcarsi “il vestitino”, e i bambini come soldatini senza sentimenti che non possono dedicarsi ad azioni di cura.
Ci dici almeno tre motivi per cui genitori e insegnanti (e società) dovrebbero impegnarsi a contrastare gli stereotipi di genere fin dall’infanzia?
Contrastare gli stereotipi nell’infanzia è fondamentale per mantenere i rapporti tra generi rispettosi e paritari. Sostanzialmente i genitori, gli operatori, gli educatori, i media e la società tutta dovrebbero impegnarsi affinché vengano insegnati fin dall’infanzia i concetti di reciprocità e rispetto. Gli scopi ultimi possano essere inquadrati nella prevenzione di atteggiamenti di genere violenti, nella creazione di solide basi di autostima anche per le bambine, senza incastrale in canoni fisici precostituiti e pericolosi, e nel permettere una più equa distribuzione nelle mansioni domestiche e dell’occupazione lavorativa. Tutti questi aspetti risultano imprescindibili per costruire una società che si possa definire civile e vivibile, non discriminatoria e rispettosa, in grado di permettere una cittadinanza attiva a tutta la popolazione, senza discriminazioni di sorta.
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