Il ricordo del poeta Elio Pagliarani, con le annesse impressioni personali sull'Università di Bologna (17.02.2013), doveva avere un seguito che ho rimandato per motivi d'attualità, legati alla memoria riminese di
papa Gregorio XII. Non ho potuto così proporre un breve accenno a quella Scuola pedagogica bolognese
degli anni Sessanta che ha avuto il suo animatore appassionato in Giovanni Maria Bertin, scomparso novantenne nel 2002. E nella quale mi sono formato.
Già nel 2002 raccontai sul web la mia gratitudine a quel Maestro, ripercorrendo l'esperienza di uno
studentello delle Magistrali di Rimini che approdava a Bologna scoprendo un modo nuovo e diverso di fare cultura. Se oggi riprendo il discorso in questo angolo di giornale, è perché ritengo
ancora valido, soprattutto nel momento presente, l'insegnamento di Bertin rivolto a formare nei suoi studenti una coscienza civile e politica attorno a due temi fondamentali. Quelli del dialogo e
del vedere la Costituzione repubblicana come la Stella polare del nostro agire quotidiano nella vita pubblica che coinvolge tutti quanti, non soltanto i Politici.
Bertin, con il suo chiaro e preciso stile, è di attualità nel mondo della cultura dei nostri giorni, come dimostrano due recenti volumi curati dai pedagogisti Franco Frabboni e Massimo Baldacci.
Ma se quelle idee della Costituzione come Stella polare della vita politica, e del dialogo quale metodo per una società civile, fossero oggi riproposti con la necessaria urgenza e chiarezza,
forse avremmo più speranza nel futuro e meno confusione in testa.
Bertin ci ha insegnato che non dobbiamo avere una visione egoistica della vita, come se ci fossimo soltanto noi, e gli altri dovessero inchinarsi ai nostri voleri. Con gli altri possiamo
dibattere, dobbiamo chiarire le singole posizioni, ma sempre nel rispetto di quel principio fondamentale della democrazia che è il dialogo, come necessità di comprendere chi è lontano e diverso
da noi, per evitare il ripetersi dei drammatici conflitti di cui cinquant'anni fa noi studenti, per semplice questione d'anagrafe, portavamo non l'esperienza diretta ma il ricordo non lieve di
quanto vissuto dalle nostre famiglie.
La nostra generazione 'di mezzo' (dopo la guerra e prima della contestazione) non aveva nessuno strumento autonomo per giudicare e comprendere, al di fuori del bagaglio che ci veniva affidato da
portare con fatica e scarsa soddisfazione. Forse oggi si rivive la stessa esperienza. [Anno XXXII, n. 1119]
Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
"il Ponte", settimanale, n. 11, 17.03.2013, Rimini