Questo personaggio, nel richiamare i suoi sudditi agli usi e alle consuetudini degli antichi, paragona gli uomini all’acqua che sgorga in superficie dopo avere percorso tortuosi e complessi sentieri nelle vene acquifere sotterranee.
“Anche noi uomini”- egli dice nel suo breve monologo in lingua sarda – ” quando nasciamo siamo soltanto la parte che si vede dei nostri avi”.
Appunto come l’acqua che sgorga in superficie è soltanto la parte che noi vediamo della vena acquifera sotterranea da cui essa proviene.
Ho risposto a questo mio carissimo amico che a volte mi immagino attorno ad un fuoco, mentre vestito di pelli arrostisco la selvaggina cacciata durante le ore di luce solare, scambiando con i compagni del villaggio le storie passate, quelle presenti e gli auspici futuri. Odo le grida di gioia dei bambini, i sospiri dei vecchi, le dolci voci delle compagne, felici per il ritorno dei maschi.
Vedo i bagliori di quello stesso fuoco attorno al quale mai ero pago di ascoltare la mia nonna materna che nella sua splendida prima lingua sarda mi narrava le storie antiche.
Il sogno, i ricordi, la fantasia si mischiano nell’anima errabonda che sente e sa che dentro il nostro cervello ci sono incise le gesta millenarie dei nostri avi, da quando l’uomo è apparso sulla terra, proveniente da chissà dove, sino ai nostri giorni.
E a quello stesso amico che mi ha detto che lui vorrebbe scendere da questo mondo trabordante di follia, di imbrogli, di falsità, non ho saputo rispondere altro che è impossibile scendere dal mondo folle in corsa.
Anche se da giovane sarei stato pronto a tornare intorno a quel fuoco, dentro quegli antichi nuraghi di pietra.
Oggi non so.