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Come amare la bellezza e cogliere la verita' senza morire

Da Teoderica
COME AMARE  LA BELLEZZA E COGLIERE LA VERITA' SENZA  MORIRE
COME AMARE  LA BELLEZZA E COGLIERE LA VERITA' SENZA  MORIRE

COME AMARE LA BELLEZZA E COGLIERE LA VERITÀ SENZA MORIRE

Di Gaetano Barbella

Vieni a Ravenna nel sogno dei Preraffaelliti del Forum di Teoderica

I Preraffaelliti?

Sai che ti dico cara Paola nonché Teo? Che sei il mio gatto con gli stivali e mi precedi predisponendomi a cose inedite, fuori dall’ordinario ed ora, è il caso di legarle alla surrealtà, poi si capirà. Ma già i Preraffaelliti ci portano a questo essendo - come si sa - degli iniziati di una Confraternita di artisti sorta in Inghilterra, detta appunto dei Preraffaelliti.

Seguo un itinerario che mi è congeniale, cosa inconsueta ma chi mi legge, come tu Paola è abituata a certe mie divagazioni da surrealtà, appunto. Come quando si dice “a proposito di... sai che ho pensato?” subito dopo aver visto o sentito qualcosa che non sembra legarvisi. Tuttavia, allora domando, come si spiega questo “pensare di riflesso”? Ma veniamo ai Preraffaelliti.

Non importa in che modo e da chi mi è giunto un inatteso “imput” del genere anzidetto proprio due giorni fa: fatto è che sembra aprirmi un curioso orizzonte sul movimento esoterico sui Preraffaelliti appena presentati.

Il dipinto di Salvator Dalì e i Preraffaelliti

Si tratta del famoso dipinto ad olio su tavola di Salvator Dalì, una delle tante sue opere surrealiste del 1944 (notate, di fine guerra mondiale... ma si capirà alla fine) che si intitola “Sogno causato dal volo di un’ape attorno a una melagrana, un attimo prima del risveglio”.

Ma lasciamo da parte per un po’ il dipinto di Dalì anzidetto, quanto basta per fare il punto sui Preraffaelliti. Però già a grandi linee, Paola, hai detto abbastanza su di loro ed è superfluo aggiungere dell’altro, salvo a rimarcare il loro lato esoterico, perché è in questadirezione che sottende quel che mi è parso di assoluta novità.

La Confraternita dei Preraffaelliti chiamò così se stessa, anzitutto per indicare il profondo connotato di setta esoterica; il riferimento al pittore ed architetto italiano Raffaello si riferisce invece al rifiuto di ogni accademicità nella loro pittura e, piuttosto, all’ispirazione che essi dichiaravano di trarre dai pittori italiani precedenti a Raffaello, portatori di una freschezza poi contaminata dalle varie scuole.

Il nome esprime, quindi, il rifiuto di Raffaello e di tutta quell’arte che, per realizzare “la bellezza”, ha tradito “la verità”, e sottende una consapevole emulazione della pittura primitiva.

Insomma si tratta di un tentativo, attraverso l’arte, di un “ritorno alle origini” che, è poi un seguire itinerari di ordine alchemico la cui arte è nota come Arte Regia.

E qui importa anche condividere il pensiero espresso dall’amica Annarita con il suo commento che evidenzia la conclusione del post a commento:

«...la critica a Raffaello si ritorse a loro, in quanto in Raffaello non vi è leziosità ma solo grazia, per ritornare al puro occorre anche esserlo.».

Non aggiungo altro poiché, avvalendomi del suddetto dipinto di Dalì come una certa “cartina di tornasole”, farò emergere una visione, quasi una profezia all’inverso dell’esito dell’impresa dei Preraffaelliti da stimarsi un atto di superbia. Si tratta della ricerca della verità attraverso l’anima che trova corrispondenza figurata nella donna che nelle opere di Dalì è spesso riferita alla sua Gala.

Dalì si serve di sogni, ma l’altro famoso artista, Pablo Picasso, con “Autoritratto”del 1938, interpreta la realtà facendo parlare un secondo occhio, l’interiore a suo avviso, quello che vede e sente emotivamente: “attraverso questo occhio della fantasia e possibile vedere, comprendere e amare al di la della vista in senso fisico; e questa visione interiore può essere tanto più intensa proprio quando le finestre sul mondo esterno sono chiuse”.

Dunque, interrompendo la tematica sui Preraffaelliti per poi riprenderla ancora a consuntivo, traggo spunto su internet da vari approcci all’opera pittorica di Dalì sull’ape e la melagrana del sogno, appena presentata in precedenza che si rifà all’imput di “a proposito di... sai che ho pensato?”, argomentato all’inizio.

Nel suo lavoro Dalì si è ampiamente servito del simbolismo, e l’elefante che compare nell’opera suddetta è una di esse.

L’elefante, ispirato al piedistallo di una scultura di Gian Lorenzo Bernini che si trova a Roma e rappresenta un elefante che trasporta un antico obelisco, qui viene ritratto da Dalì con le “lunghe gambe del desiderio, con molte giunture e quasi invisibili” e con un obelisco sulla schiena.

Grazie all’incongrua associazione con le zampe sottili e fragili, questi goffi animali, noti anche per essere un tipico simbolo fallico, creano un senso di irrealtà. “L’elefante rappresenta la distorsione dello spazio” ha spiegato una volta Dalì, “le zampe lunghe ed esili contrastano l'idea dell’assenza di peso con la struttura.”.

Dipingo immagini che mi riempiono di gioia, che creo con assoluta naturalezza, senza la minima preoccupazione per l’estetica, faccio cose che mi ispirano un’emozione profonda e tento di dipingerle con onestà.”.

L’azione del dipinto – l’enorme melagrana da cui fuoriesce un pesce che “genera” due tigri dietro a una baionetta – rappresenta il violento risveglio della donna, Gala, dai suoi sogni tranquilli. Capita di svegliarsi di soprassalto.

La donna raffigurata nel dipinto era la compagna del pittore; la possiamo ritrovare in molte sue opere poiché era considerata la sua musa ispiratrice.

Nel complesso il dipinto è considerato dalla critica un esempio dell’influenza freudiana sull’arte surrealista e del tentativo di Dalí di esplorare il mondo dei sogni.

Alcuni critici hanno suggerito che questo dipinto sia un’interpretazione surrealista della teoria dell’evoluzione (farò vedere che veramente è così).

In quest’opera prendono forma simultaneamente le rappresentazioni delle sensazioni provocate dall’improvvisa puntura di un’ape mentre l’artista stava dormendo.

La baionetta che sta per trafiggere il braccio di Gala che dorme nuda, sospesa su uno scoglio frastagliato, raffigura l’istante della puntura dell’insetto. La percezione del dolore è associata alle due tigri feroci che balzano fuori dalla bocca di un gigantesco pesce rosso, che a sua volta esce da una melagrana. L’elefante sullo sfondo a destra con le lunghe zampe da insetto che riesce a camminare sulla superficie statica del mare, nonostante il peso dell'obelisco in pietra che regge sulla schiena.

Altre possibili interpretazioni

Secondo un’altra interpretazione l’insieme delle figure presenti, composto dal pesce, dalle due tigri e dalla baionetta, rappresentano il corpo dell’ape. La baionetta sarebbe infatti il pungiglione, le due tigri, gialle a strisce nere, rappresenterebbero l’addome dell’ape stessa, mentre il pesce con le sue squame, richiama la struttura dell’occhio dell'insetto.

Le simbologie in un quadro come questo possono essere queste o cento altre legate al significato del melograno, dell'ape, della tigre, dell’elefante, del mare...; tutte, in ogni caso, percorse da un profondo e acceso senso di erotismo.

Alla base della composizione vi è la frantumazione delle immagini, come se un’esplosione avesse disgregato ogni cosa, ogni forma, suggerendo invece la presenza di fantasmi, sogni, incubi in uno spazio profondo e risonante, su cieli azzurri e paesaggi rocciosi antropomorfi.

Ecco che il mio approccio a questa visione surrealista di Dalì, possibilista di tante interpretazioni, ben si dispone ad una mia personale e singolare introspezione all’arte dei Preraffaelliti, suggerita – potrei dire – dal caso.

Non importa tanto ciò che realmente viene attribuito dai critici d’arte al dipinto in questione. Conta – secondo il mio approccio a cose del genere invece ciò che viene richiamato alla mente nell’impatto visivo con i vari dettagli separati e nell’insieme.

Tutto è legato alla realtà presente nel bagaglio mentale dell’osservatore. È come se essa fosse un insieme di spettatori a vedere un film seduti in una sala cinematografica.

Ecco che già si spiega la mancanza di unità e di totalità del dipinto attribuito dalla critica d’arte. Gli spettatori sono estranei l’uno all’altro, non si conoscono, salvo eccezioni. Tuttavia essa c’è per il fatto che la melagrana, il pesce, le due tigri, il fucile con la baionetta e la donna che sogna, sono uniti fra loro come maglie di una catena. E poi è la meccanica ottica delle ombre che legano ogni cosa al mare (occorre pensare che si tratta di concezioni esoteriche che presuppongono un’attività interiore a livello astrale). Così la donna è legata allo scoglio che sembra galleggiare sull’acqua piuttosto che emergere in parte. E così anche l’elefante con l’acqua, ma questo con dei prolungamenti delle zampe, tali da farli sembrare quelle di un insetto. Come a volerle legare all’ape, un insetto che è capace di essere portatore di grandi cose (una sorta di Cristoforo). Nell’astrale non conta la forza di gravità terrestre.

Tutto è come sospeso in aria, ma questo stato è caratteriale nel mondo dei sogni.

Il ritratto di Luca Pacioli

Resta da capire l’ape che sorvola la melagrana. E qui, è come se l’insetto fosse simile a un interruttore della luce che con la “pressione” visiva dell’osservatore richiama cose estranee al quadro, ma sempre in coerenza. Perché dico questo?

Per aver tratto delle conclusioni su un’analoga rappresentazione di un dipinto famoso, “Il ritratto di Luca Pacioli”, una mosca su un cartiglio con su i numeri di un anno parzialmente occultato.

Qui la mosca cela una risposta sul sapere del messaggio riposto nel quadro.

Ecco ciò che ho scritto su questo quadro e che è riportato sulmio sito.

«Si cerca la verità, ma non la si trova mai, sapete perché? Perché è come quel tenue filo che tiene sospeso il rombicubottaedro dell’enigmatico «Ritratto di Luca Pacioli» sopra esposto. Tutti si chiedono spiegazioni su quest’opera d’arte della quale non si hanno nemmeno cognizioni certe sul suo autore. Certezze essi cercano in ogni dove di questa sorta di esposizione allegorica.

Solide certezze sapienziali, innanzitutto, come sembra indicare quel solido poliedrico, un piccolo dodecaedro al lato opposto dell’evanescente rombicubottaedro. Esso è poggiato infatti su un grosso volume dalle tante pagine ben serrate, per significare con l’immobilità il potere incisivo del sapere del libro chiuso, però. E le dodici facce poligonali del poliedro sono quelle dell’uomo esposto al variare periodico del tempo che muta continuamente dodici volte l’anno, appunto.

Ci sono due rovesci di questa sorta di medaglia del sapere del certo: il primo è la fissità di ogni cosa, sinonimo di condizione di morte che, se non altro, con il placar dei sensi essa par che si ben disponga; il secondo, non migliore del primo, è quella mosca sul cartiglio a scompigliar l'assoluta completezza del saper saccente.

È qui il “tenue” filo opposto a quella sorta di cristallo, che par che viva, in alto sospeso a sinistra, attrattivo e assai amabile, che sembra però irraggiungibile. E c’è anche discordia sull'interpretazione del cartiglio, a causa dell'iscrizione parzialmente occultata dal noioso insetto “portatore” di gravi malattie infettive. Come a significare di pagare un prezzo elevato per conoscere la verità.”.

Nel caso dell’ape e la melagrana di Dalì, il rombicubottaedro è sostituito dalla donna nuda sospesa sullo scoglio e la mosca contagiosa da un’ape altrettanto pericolosa per il suo pungiglione. Nell’esplosione degli elementi della sua peculiare azione è la baionetta che ferisce il braccio della donna. Ma è un occulto modo per inoculare qualcosa di estraneo ad essa da correlarsi, presumibilmente alla creazione della donna Eva. Essa è dormiente in seno all’uomo Adamo ancora avviluppato nella sua solitudine edenica. Ma almomento preciso della puntura, correlata alla introduzione della “costola” biblica, Eva-Gala (o Gaia la Terra) d’improvviso si desta e sarà lei a gustare il grano della melagrana e pagarne il prezzo del sapere che vi deriva.

Per il resto si può correlare lo scoglio sul quale è sospesa Gala la possibile Terra di Gaia e il suo porto in relazione alla melagrana e l’ape e la loro ombra a forma di cuore dove ha inizio ogni storia singola e di popolo umana.

Dallo squarcio della melagrana ingrandita, dove poi fuoriescono il pesce, le due tigri ed infine il fucile con la baionetta, sembrano delinearsi i contorni della Gran Bretagna e Irlanda in cui ebbe inizio la leggenda del Santo Graal a seguito della migrazione di Giuseppe d’Arimatea con il Calice del sangue di Gesù.

Non è escluso che questo abbia voluto rappresentare Salvatore Dalì e il passo è breve per immaginare il seguito della leggenda della saga arturiana con l’iniziativa della Confraternita dei Preraffaelliti.

I temi sociali dei Preraffaelliti, causa del loro disperdersi

E sulla ricerca sulla verità tanto bramata dai Preraffaelliti? Perché offuscata?

La verità non vuole catene, non vuole essere imbrigliata in un corpo “mortale” e quando questo sembra avvenire ecco che esplode dalla melagrana come l’ha intesa rappresentare Dalì. Tutto nel silenzio e nella fitta sensazione di una improvvisa “puntura” prima di svegliarsi al sorgere dell’aurora. Tant’è che quando morì Raffaello si sparse la voce che era morto un dio.

Dunque chi si cimenta non deve porsi alcun tema da risolvere con la eventuale conoscenza della verità. Cosa che invece fu estremamente cara ai Preraffaelliti.

I temi sociali, quelli del lavoro e dell’emigrazione particolarmente sentito in Inghilterra; i temi biblici che occupano un ruolo determinante; i temi nazionalisti con l’amore viscerale per la patria; i temi shakespeariani con Re Lear, Macbet oltre l’Amleto; ed infine i temi medievali con i cicli arturiani.

Un iniziato degno di essere prolifico praticante in esoterismo, non fa nulla in prima persona, ma si predispone nel cosiddetto “sogno”, ovvero in “astrale” a “concepire” le cose e sarà il “caso” a decidere il da farsi. L’iniziato vive isolato dal mondo salvo a vederlo sotto mentite spoglie.

E da Salvator Dalì cosa ci viene in proposito?

Ecco uno “squarcio” della sua melagrana tratto da wikipedia sul suo conto.

Allo scoppio della guerra civile spagnola Dalì sfuggì i combattimenti, rifiutando di allinearsi con alcuno degli schieramenti. Similarmente, dopo la seconda guerra mondiale, George Orwell lo criticò per essere fuggito come un topo dalla nave che affondava non appena la Francia era stata in pericolo dopo che il pittore vi aveva prosperato per anni:

«Quando in Europa si avvicinano le guerre lui ha una sola preoccupazione: come riuscire trovare un posto dove si mangi bene e da cui può scappare in fretta se il pericolo si avvicina troppo.».

È paradossale ma questa è la maschera dell’iniziato alle arti occulte di Salvator Dalì.


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