Uno stadio di calcio può essere felice?
Questa domanda me la pongo ogni volta che vedo scene di violenza dentro i nostri stadi. Facce brutte, striscioni aggressivi, colori scuri, musi incattiviti. E ogni volta che vedo queste immagini mi dico che il calcio, il nostro sport nazionale, è appunto sport o dovrebbe esserlo anche nel modo in cui viene vissuto e che se anche non è più sport (ne ho parlato qui) è almeno sportainment, che vuol dire intrattenimento.
E intrattenimento vuol dire gioia. E allora cosa centrano i brutti musi incarogniti con la gioia?
La bella notizia è che uno stadio felice è possibile. E la notizia ancora più bella è che uno stadio felice fa guadagnare. Un guadagno che io vedo su più più fronti, non solo quello economico delle società, ma anche quello umano, quello delle relazioni tra le persone.
FootballAvenue e la sfida per un calcio migliore
Ho assistito ieri a un forum unico in Italia, che alla sua seconda edizione, vuole proprio stimolare un confronto in questa direzione. Sul modello di incontri simili in altri paesi – mi vengono in mente quelli organizzati da Sponsors in Germania (ne parlai qui) -, FootballAvenue ha radunato dentro uno stadio, quello della Juventus, club e aziende, esperti nazionali e internazionali non solo per fare business, ma anche per confrontarsi su esperienze possibili e per stimolare l’Italia a recuperare il suo ritardo rispetto ad altri paesi europei.
Per me, che ho tanto a cuore lo spettatore, è stata una bella occasione. E gli stimoli sono stati moltissimi. Ne elenco alcuni, partendo dalle note dolenti.
Germania – Italia 1:0
Alberto Colombo, direttore marketing della European Professional Football League, ha presentato statistiche sulla vendita dei biglietti nelle partite in Euoropa. La Germania svetta in pole position con numero da capogiro, circa 45.000 biglietti in media venduti per partita. L’Italia si trova solo al 4. posto dopo Inghilterra e Spagna, con valori decisamente bassi. Se poi si guardano i dati della serie B, il quadro è ancora più desolante. Uno dei motivi per questo gap è la sicurezza, ma come ha spiegato Colombo, più che un problema reale la sicurezza è un problema di percezione. La gente pensa che sia pericoloso, perché evidentemente la comunicazione sugli scontri è più efficace di quella sulla festa sportiva. Mancano però anche tecnologie e servizi dentro gli stadi che consentano al pubblico di interagire con la partita in modo attivo dentro un luogo accogliente e divenendo attori e narratori del match.
Lo stadio social
Niels Roine ha raccontato come il bisogno coinvolgimento del pubblico tramite mobile è cruciale. La gente partecipa e partecipando registra la sua presenza tramite tweets, foto, e post e così svela i suoi comportamenti, racconta chi è e cosa ama. Provocatoriamente Roine ha detto che se vuoi conoscere bene il tuo spettatore basta andare su Google. Li si trovano tutte le nostre tracce. E la cosa affascinante è che proprio grazie a questa interazione oggi è possibile aumentare la partecipazione e dunque la felicità dello spettatore e così facendo aumentare il numero di spettatori, che vogliono sentire l’aria dello stadio digitando sul tablet e così facendo, infine, aumenta l’interesse degli sponsor, aumentano le vendite di cibo e bibite e merchandising e si crea una nuova fonte di ricavi per le società. Lo stadio, cioè, migliora la sua qualità vedendo nello spettatore un cliente. Per alcuni forse ciò è un male. Me ne rendo conto ed io stessa non amo lo sfruttamento per lo sfruttamento, ma qui si apre una opportunità: lo stadio può divenire un parco divertimento, dove il divertimento è dato da partecipazione, emozione, cibo, museo, tweets, foto, video, incontri, musica e così via.
Lo spettatore disertore
La sociologia parla di mediazione emozionale quando si riferisce all’intrattenimento. Ora, se questa mediazione si occupa di emozioni pulite, sane, pure, di passione vera per il calcio, di bisogno, come dice Michel Maffesoli, di fratellanza, di condivisione, di esperienza qui e ora e se il problema che abbiamo negli stadi italiani è che invece le emozioni che prevaricano tutto il resto sono quelle della passione per lo scontro o per la divisione, ebbene allora forse dovremmo davvero cercare di rivedere lo stadio al suo interno e pensare allo spettatore che vorrebbe andarci, e non a quello che col muso arrabbiato si presenta ogni domenica al nostro cancello. Dovremmo chiederci: chi è il nostro non-cliente? Chi è che non compra i nostri biglietti? E perché non li compra?
Le risposte probabilmente si trovano su due livelli, quello dei servizi base e quello della personalizzazione. Vogliamo essere trattati bene, ma vogliamo anche sentirci speciali.
Lo spettatore trattato bene
L’esperienza parte dal momento in cui a casa decido di andare alla partita e compro un biglietto on line. In tedesco quello che provo si chiama Vorfreude: gioia anticipata. Dopo questo primo momento, entro in una sorta di corridoio virtuale, il percorso che dal mio clic di acquisto del biglietto mi conduce all’esperienza partita. Le possibili tappe (o anche i possibili momenti di verifica inconsapevole, che andranno a comporre il mio giudizio finale) sono:
- Uscire di casa
- Prendere un mezzo pubblico o la macchina
- Arrivare e parcheggiare facilmente
- Indirizzarmi senza problemi al mio cancello
- Trovare uno steward sorridente che mi dà il benvenuto e mi augura buon divertimento
- Stare fuori nel chiosco e sentire la musica mangiando un hot dog
- Entrare nello stadio e sentirmi in un tempio
- Mangiare ancora qualcosa in un ristorante che a scelta può essere gourmet o fast-food o pizzeria o tex-mex
- Andare al museo e scoprire pezzi di storia che non conoscevo
- Comprare un gadget della squadra
- Andare alla toilette (che in quanto signora esigo sia pulita!)
- Bere un buon caffè e mangiare un dolce goloso
- Fotografarmi con gli amici e postare le immagini
- Interagire via web con altri amici o semplicemente tifosi e incontrarli e farmi nuovi amici
- Giocare a calcio con un dispositivo elettronico
- Entrare finalmente in tribuna e prendere posto su una poltrona comoda anche se ho il preso il biglietto più economico
- E, fischio d’inizio, godermi la partita
- E poi, dopo, fermarmi a mangiare un ultimo boccone
- Postare un’ultima immagine su instagram
- Prendere la macchina e senza ingorghi, uscire dal parcheggio
- E infine, arrivare a casa e scoprire nella mailbox che la mia squadra mi ringrazia per essere stata con loro tutto il giorno
Lo spettatore speciale
E se tutte queste cose le volessimo personalizzare, allora proviamo a immaginare che lo spettatore sia:
- Un giovane al suo addio al celibato in uno skybox personalizzato
- Un bambino con i compagni di classe per la festa di compleanno
- Un imprenditore con i suoi clienti per un’azione di pubbliche relazioni
- Un gruppo di amiche che vogliono godersi una partita senza uomini, anche loro, dentro uno skybox personalizzato
- Una famiglia con bimbi piccoli, affamati e infreddoliti, ma ostinati a seguire i propri campioni
- Un gruppo di stranieri in vacanza in Italia che vuole godersi un match dal “sapore” italiano
Le categorie sono infinte. E per ognuna, oltre ai servizi base, ci sono le personalizzazioni. Ci sono mondi e universi che si possono aprire e che si possono conoscere perché oggi la tecnologia ce lo consente.

O che farebbe dire a me: anche se non sono un’esperta di formazione e tecnica del gioco, che splendida giornata ho appena passato.
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E poi i due già citati nel post:
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