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Come back to me (2014)

Creato il 12 marzo 2015 da Silente
Possessioni, rapimenti, home invasion, o forse tutto è molto, molto peggio                                            Come back to me (2014)

Qualche anno fa ho letto The Teratologist, era la prima volta che mi imbattevo nell’horror hardcore e credo sia stata l’esperienza più disagevole e disturbante mai affrontata in letteratura. Edward Lee e Wrath James White non andavano per il sottile raccontando di violenze sessuali e depravate oltre ogni limite, e sebbene abbia incrociato varie altre volte il genere con i fondamentali (i due Header, Bullet through your Face, ma anche l’Apeshit di Carlton Mellick), il termine di paragone per me è sempre stato quel libricino di un centinaio di cartelle dove a trasudare, oltre al sangue e alle immancabili viscere, era più che altro una brutalità psichica nel sommare le peggiori perversioni umane.Quando conosco un nuovo genere la curiosità mi lubrifica il cervello e devo avere più materiale possibile come per paura che, di colpo in bianco, possa trovarmi senza più niente da divorare, quindi nel mio bel carrello (a quei tempi, prima dell’Amazon italiano, facevo grandi affari su Play.com e, be’, sullo storico library.nu) era apparso anche un certo The Resurrectionist (niente link, occhio a leggerne la trama, rischio spoiler), che poi non ho mai letto e ho lasciato ammuffire in libreria, dimenticandomene del tutto. Fino a quando non ho visto Come back to me.     

L’esordio di Paul Leyden, ispirato proprio al romanzo più noto di Wrath James White, fa parte di quel gruppetto di film dal budget microscopico ma dalle buone intenzioni di cui mi piace occuparmi recentemente, ma questi 90 minuti hanno sicuramente un briciola di personalità in più rispetto a vari prodotti simili di colleghi alle prime armi. Pochi soldi e scarsi mezzi obbligano a spremere ciò che si ha a disposizione, e Leyden, potendo usufruire soltanto su tre attori e, be’, su se stesso, crea un cerchio demoniaco, seppur ancorato a determinati schematismi del cinema del terrore, molto affascinante e a tratti parecchio curioso, in grado di confluire in una bella vicenda tra paranoia e soprannaturale dove le carte sono ben mescolate e sparse con furbizia.Intendiamoci, Come back to me usa gli incubi come argomento spesso portante, sarebbe cosa delicatissima e potenzialmente infruttuosa, e invece Leyden trae forza proprio dal suo aspetto più critico agendo con una genuinità miracolosa: i sogni sembrano veri grazie all’energia e alla furia degli eventi raccontati, nessuna concessione agli stati onirici né scene spezzate sui momenti clou, e la loro pesantezza è resa tale dai risvegli di Sarah, che pare affiorare e ingozzarsi di ossigeno dopo una lunga apnea, portandosi dietro una fatica pachidermica. Ma il film non si riduce a questa serie di incubi che distruggono la vita della protagonista: come spesso può capitare in titoli simili, realtà e fantasia si ribaltano e si alternano in una sequenza dove è impossibile distinguere l’una dall’altra, Leyden invece evita di ricorrere a questo facile trucchetto rafforzando ogni organo della sua creatura, in modo tale che i dubbi che si creano non portino confusione, bensì curiosità verso la soluzione della vicenda, o permettendo che gli interrogativi soprannaturali siano sempre su quel filo dove razionale e inspiegabile emergono contemporaneamente. Come back to me (2014)
Non era cosa facile, va detto che il tutto non è gestito al meglio ma Leyden fa davvero il possibile, e qua e là va anche oltre, con quello che si ritrova. Questo significa un controllo dialogico molto preciso, che copre qualche buco o sottigliezza con alcune parentesi sentimentali piuttosto verosimili, e soprattutto una visione parecchio ispirata attraverso gustosi piano sequenza semplici ma articolati, molta camera a mano che fornisce nervosismo a pacchi, pochi stacchi e una propensione a mostrare piuttosto che raccontare che, nonostante inciampi più di una volta, va di certo premiata.Piace infatti la progressione della vita di Sarah, mostrata attraverso piccoli gesti e semplice quotidianità, è uno di quei personaggi a cui è facile affezionarsi proprio per la normalità che esprime faticando nel rapporto con il marito, sospettando del vicino, confidandosi con l’amica. Si tratta di aspetti che impreziosiscono un potenziale b-movie che potrebbe perdersi nel cestoni dei direct to video in poco tempo, le ricadute sono in numero assai minore rispetto ai pregi e certe ingenuità vengono quindi annullate da improvvisi scoppi gore, riflessioni ponderate sulla routine giornaliera (litigi, sessualità, lavoro) e un ritmo sempre elevato che non permette di prendere fiato, peccando forse soltanto di un villain sin troppo elementare nei suoi disturbi materni e nei suoi modi impacciati di stalkeraggio.Piace infine questo approccio più tradizionale ed elegante, l'impatto viscerale tipico del genere letterario è assai limitato in favore di una maggiore compostezza e di un dosaggio ben pensato: non mancano le scene forti (il prologo, la parte conclusiva) ma Leyden non le usa per sorreggere l'intero film né come strumento di marketing per un pubblico più giovane e meno attentoNiente male.

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