In Italia una delle domande più comuni è stata: ma quando torni per restare? Quando torni. Onestamente, più passavano i giorni e anche io mi chiedevo: quando torni. In Africa. Salvo la mia famiglia e pochi amici, non ho motivo di tornare per restare. E’ un’Italia che mi appartiene sempre un po’ meno, che si fa sempre più distante e diversa da me.
Per fortuna ci sono i bambini. Uno dei giorni migliori della mia vacanza italiana l’ho trascorso in compagnia dei piccoli alunni della scuola primaria di San Zeno. La maestra Anna mi aveva chiesto di andare a parlare di Karungu e io avevo accettato senza ben sapere cosa avrei detto. Mi chiedevo cosa potevo dire a dei bambini di 7-8 anni a proposito di Africa.
Ho preparato alcune fotografie e mi sono presentata al mio colorato pubblico. Credo di aver parlato per circa 5 minuti, e poi c’erano così tante mani alzate che non sapevo da che parte cominciare.
Mi hanno chiesto praticamente qualsiasi cosa, una raffica di curiosità.
Dov’è il Kenya? Che lingua parlano? Come si chiamano i bambini? Abbiamo mostrato loro la cartina e spiegato che qui si parla inglese e kiswahili, ma i bambini di Karungu parlano dholuo. Come chi tra voi a casa parla dialetto, ha spiegato la maestra. Si sono interessati quando ho spiegato come si danno i nomi in base al momento della nascita. E quando ho detto loro che il mio nome luo è Akinyi, perché sono nata di mattina, mi hanno chiesto stupiti: sei nata in Africa? No. O forse sì.
Hanno giocattoli? A cosa giocano? Ascoltano la musica? Ce l’hanno la televisione? E l’orologio?? Quasi non ci credevano quando li ho detto che i bambini di Karungu i giochi se li fanno da sé, però sono stati contenti di sapere che adorano ballare e cantare e che in alcuni posti c’è la televisione, anche se non in casa perché non c’è la corrente e quindi niente tv ma anche niente videogiochi, niente frigorifero, niente luce la sera. Niente. Quanto all’orologio, ho alzato i polsi: non lo porto più neppure io.
Una foto che ha colpito molto rappresentava un bambino che faceva il bagno in una bacinella di plastica colorata. Come fanno a lavarsi? Hanno l’acqua a casa? La vanno a prendere nel lago?!? Hanno il sapone? E lo shampoo? E l’asciugamano?Sì sì sì sì!
La parte più difficile è stato spiegare che la maggior parte dei bambini di Karungu è orfana di almeno un genitore. Dell’AIDS non abbiamo neanche accennato, era già abbastanza così. Chi cucina a casa? Chi li aiuta con i compiti? Chi li accompagna a scuola? Un bimbo con gli occhiali ha riassunto benissimo la questione con una domanda che taglia come una lama, pur nella sua semplicità. Come fanno senza la mamma? Perché a casa c’è quasi sempre una zia o una sorella maggiore, e un papà o uno zio o i nonni e degli adulti che decidono di prendersi cura di un bambino non loro. Ma la mamma e la mamma.
Dovevo restare qualche minuto e invece quasi non ci siamo accorti della campanella che suonava. L’ultima domanda è stata da parte di una bambina con lunghe trecce che mi si è fatta vicina prima di tornare a casa. Posso abbracciarti? Certo, tesoro. Un bell’abbraccio forte.