Magazine Astronomia

Come boe nell’oceano della gravità

Creato il 25 febbraio 2016 da Media Inaf

Finalmente liberi. Liberi d’abbandonarsi al rollio dello spazio-tempo, al moto ondoso dell’oceano gravitazionale che agita impercettibile l’intero Universo. Liberi senza compromessi, questa volta. Senza più alcun vincolo, nemmeno quel fioco legame elettromagnetico che ancora fino a qualche giorno fa li teneva ancorati al laboratorio volante che ne misura qualsivoglia infinitesimale spostamento.

Avviene a un milione e mezzo di chilometri da noi, in quella regione d’equilibrio gravitazionale posta fra la Terra e il Sole che i meccanici celesti chiamano “primo punto lagrangiano” (L1). Avviene all’interno d’una sonda dell’Agenzia Spaziale Europea, LISA Pathfinder, precursore tecnologico d’una futuristica antenna spaziale per le onde gravitazionali.

Protagonisti di questa libertà senza se e senza ma, due cubetti d’oro e platino da 4.6 cm di lato ciascuno. Ne parliamo con uno degli scienziati che hanno progettato l’intero esperimento, Stefano Vitale, dell’Università di Trento e dell’INFN, responsabile del pacchetto tecnologie di LISA.

Professor Vitale, a cosa serve quella coppia di cubetti?

«È la versione in miniatura d’un osservatorio per onde gravitazionali. Si prendono, appunto, due cubetti, si mettono a qualche milione di km e niente li deve muovere. Se passa un’onda gravitazionale, loro si spostano un poco e noi lo vediamo con il laser. Ora, quel “niente li deve muovere” è molto difficile da ottenere. Con i due cubetti di LISA Pathfinder stiamo dimostrando che, effettivamente, nient’altro li muove se non le onde gravitazionali. E veramente nient’altro li muove: li vediamo fermissimi».

Li vedete fermissimi, ma ora che li avete liberati che succede? Non c’è il rischio che vadano a sbattere contro la parete del loro alloggiamento?

«No, nessun pericolo. Per mantenerlo sempre in posizione, il satellite insegue uno dei due cubetti. Un po’ come nella corsa col cucchiaio: se il satellite rischia di toccare il cubetto, si azionano dei microrazzi che riposizionano il satellite stesso in modo che ciò non avvenga».

E l’altro cubeto?

«L’altro, a dire la verità, un poco lo dobbiamo spingere, in modo che segua il primo cubetto. Ma lo spingiamo veramente pochissimo. E infatti li vediamo veramente fermi. Li vediamo fermi esattamente come devono essere in un osservatorio gravitazionale».

Con quale precisione si deve spostare, il satellite, per mantenere i cubetti al centro dei rispettivi alloggiamenti? Parliamo di millimetri? Di frazioni di millimetro?

«Frazioni, dice? Milionesimi di millimetro. Per riuscirci, LISA Pathfinder usa dei razzetti speciali, molto deboli, che lo mantengono sempre centrato attorno al cubetto, in modo da non toccarlo».

È un esperimento al quale lavorate da anni. E ora, proprio qualche giorno prima del superamento di questa tappa storica, arriva questo annuncio epocale della rivelazione da parte di LIGO d’un’onda gravitazionale… Come l’avete presa? Non c’è un po’ di rivalità, fra chi le cerca a terra e voi che ci provate dallo spazio?

«Sta scherzando? Per noi è stato un risultato fantastico. Noi stiamo ai rivelatori terrestri come gli osservatori per raggi X in orbita stanno ai telescopi a terra. Osserviamo aspetti diversi della stessa emissione, vediamo cose completamente diverse – noi vedremo, loro già vedono – e ci siamo sempre sostenuti a vicenda. Perché stiamo inaugurando insieme l’astronomia gravitazionale».

E anche voi, come accade per i vostri “colleghi elettromagnetici”, dallo spazio potrete cogliere fenomeni che da terra sarebbe pressoché impossibile rilevare?

«Assolutamente sì. Noi vedremo le onde di bassa frequenza, lentissime oscillazioni che sono generate da corpi giganteschi: tipicamente, l’urto fra due buchi neri di molti milioni di masse solari, presenti al centro di ogni galassia. Prevediamo di vederne molte decine, e sono fenomeni che emettono energie pari a milioni di volte quella del buco nero visto da terra. Insomma, una nuova visione dell’Universo».

Nella galleria multimediale di Media INAF è disponibile anche l’audio dell’intervista

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina


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