Come cercare un libro-cioccolatino in un macello

Da Abattoir

domenica 7 ottobre 2012 di L'Abattoir

di Lodovico De Sade*

Credo di descrivere tutti noi,
il peggio di quel che siamo.

Come gli atomi nel vuoto cadono paralleli, così moltitudini di ominidi vagano zigzagando nel Grande Macello fra specchietti rotti e stupide allodole.

Le luci della città non commuovono più nessuno e i tramonti al mare non fanno sognare, sono solo buone scuse per scopare.
Talvolta una deviazione, un errore del Gran Macellaio, ci mostra qualcosa che non dovevamo vedere, come potrebbe essere un cioccolatino che, dopo averlo mangiato, ci permette di sciogliere le catene di quell’animale che dal petto cerca di uscire dalla bocca e che ogni giorno proviamo ad intrappolare con cravatte e foulard.
La scatola di cioccolatini di Silvia… (e di altre crudeltà) è un libro pericoloso per l’ordine precario del Macello.

Vera Q. ci fa assaggiare quattro racconti come fossero dolcetti: è indifferente quale scegli di mangiare per primo, la cosa importante è che alla fine della lettura ti accorgerai che, in qualche maniera, parlano di te.
Riportiamo di seguito uno stralcio di dialogo tra due personaggi che rifiutano l’identità e dunque non esistono: Lodovico De Sade e Vera Q.

Vera, te lo dico sinceramente, se il tuo libro non fosse costato 1 euro non l’avrei comprato.

«Ho impostato volutamente il prezzo del libro su Amazon ad 1 euro perché mi sono stufata di dover sempre scegliere. Questo è uno dei pregi del self-publishing: non dover rendere conto o conteggio a nessuno. Se acquisto un libro salta il cinema, se vado al cinema niente concerto o mostra o qualsiasi momento per me legato ad un interesse che non sia quello di sbavare davanti alla televisione. Se tutto avesse un prezzo equo, chiunque potrebbe crescere culturalmente ».

Tutti hanno diritto a un cioccolatino…

«Chiaro, morendo felici. Che tanto si muore comunque».

Come le donne di cui parli nei racconti, loro muoiono ogni giorno.

«Credo di descrivere tutti noi, il peggio di quel che siamo. Avrai conosciuto personaggi identici a quelli ritratti nei racconti…».

Devo dire però che ti discosti dal “pulp di maniera”, non ti si può identificare con Bukowski o Burroughs o chessò, un Welsh. Forse perché sei donna…

«Vorrei essere un Bukowski, OSSELOVORREI! Ma sono solo Vera Q. ed il mio modo di scrivere è davvero femminile, dannazione!».

I personaggi che descrivi li trovo simpatici nelle loro perverse follie, secondo te è preoccupante?

«Tutti almeno una volta abbiamo fatto sogni discutibili. Ci frena il comune senso della morale, non certo la benevolenza. Ho cercato di inserire un pizzico di follia nei personaggi proprio perché, identificarsi con l’irrazionale, lava la coscienza. Per cui, tra un sorriso ed una riflessione sul costume, pensi: “Beh, però Tizio o Caio se l’è meritato!”. Forse non cercheresti di far fuori tuo marito… ma spararlo su Marte per un mesetto, magari si!».

Nel tuo libro il lavoro dei personaggi non è mai messo in secondo piano, è come se fosse caratterizzante per la storia stessa…

«Penso davvero che il lavoro sia parte integrante della vita: riesci ad immaginare un’intera esistenza trascorsa a controllare “personalmente” termometri rettali perché sei il beta tester? Otto ore al giorno le passi al lavoro (ammesso che uno abbia la fortuna di lavorare, visti i tempi): stress, nevrosi ed ansie vengono a casa con te».

Certo, insomma, se per otto ore al dì ti prendi qualcosa nel culo dovrai pur sfogarti con qualcuno, è chiaro… Forse era meglio nascere finocchi.

«Infatti questo spiega i racconti: non siamo buoni,  è il contesto che ci porta ad esserlo o meno. Se pensi che ancora oggi esistono pratiche come l’infibulazione…
Piuttosto, sai perché i finocchi vengono definiti tali? Perché parrebbe che durante l’Inquisizione godessero della simpatica sorte riservata alle presunte streghe e che, per mondare l’odore delle carni corrotte, i magnanimi preti gonfi di cristianità utilizzassero le fascine di finocchio… E per finire le uniche categorie con le quali non ho rapporti e mi guardo bene dall’averli sono per l’appunto omofobi, razzisti e fascisti».

Io aggiungo anche i preti, ma non divaghiamo. Anzi, vorrei concludere chiedendoti qualche notizia sulle illustrazioni del libro? Veramente sorprendenti.

«Le illustrazioni sono opera di una carissima amica e di un disegnatore francese.
Eleonora Genua mi ha concesso l’uso delle illustrazioni interne che trovo magnifiche e pertinenti.
Victor Soren mi ha concesso l’utilizzo di un suo disegno per la copertina e ne sono onorata.
Auguro ad entrambi tutto il successo che meritano alla faccia di Hello Kitty».

* Pseudonimo di Riccardo Ferrante. La scelta “stilistica” vuole consapevolmente dare un senso di rottura con il concetto di identità, così da poter essere tutti riconoscibili in uno pseudonimo che diventa pseudo-persona.


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