La tecnica di riempire delle to do list ha origine antichissima risale ad Esiodo e Omero arrivando, attraverso romanzieri come Melville, ai giorni nostri. Come ha osservato recentemente Ennio Franceschini: “Scriviamo liste sull’agenda, sul diario, sul calendario appeso al muro, le digitiamo sul telefonino, le appiccichiamo con i post-it gialli sul frigorifero, sul computer, in bacheca, e ciononostante non le finiamo mai, ogni giorno cancelliamo un po’ di voci dalla precedente ma ne aggiungiamo un’ infinità alla successiva. Scrivi e cancella, scrivi e cancella, arrivare in fondo è impossibile: secondo uno studio britannico, ogni lunedì ce ne sono mediamente 150 nuove all’orizzonte… Il libro di Baumeister e “Getting things done” (Portare a compimento le cose) fornisce le istruzioni per compilare la “lista perfetta”. Deve avere tutte le cose da fare, dalle triviali alle importanti, dalle private alle professionali; essere il più specifica possibile (al punto da indicare se contattare qualcuno per email o per telefono); essere realistica, nessuno può aspettarsi di fare tutto in un giorno; e seguire la regola dei “2 minuti”, se bastano quelli per fare qualcosa, farla subito, altrimenti aggiungere una voce alla lista. Lo studio della “lista dei doveri” è una cosa seria. Nasce dalla frustrazione di supermanager sempre più impegnati e sempre più a corto di tempo, che vedono riempirsi sulla scrivania la vaschetta dei documenti da sbrigare e non riescono mai a trasferirli tutti in quella dei documenti sbrigati.
Degli elenchi prodotti dall’umanità nel corso della storia, è stato fornito un meraviglioso catalogo da Umberto Eco. Secondo Eco è possibile distinguere gli elenchi in tanti modi diversi, ma a suo avviso, la distinzione principale è di tipo filosofico. “Il sogno di ogni filosofia e ogni scienza sin dalle origini greche è stato quello di conoscere e definire le cose per essenza, e sin da Aristotele la definizione per essenza è stata quella capace di definire una data cosa come individuo di una data specie e questa a sua volta come elemento di un dato genere.Se ci pensiamo bene questo è lo stesso procedimento che segue la tassonomia moderna.
Ma, continua Eco, se la definizione per essenza prende in considerazione le sostanze (che sono conosciute e limitate), è possibile anche operare una definizione delle cose per proprietà, prendendo in considerazione ogni possibile accidente. Questa distinzione è cruciale, perché le definizioni per essenza danno origine a liste finite, ordinate e coerenti (vale a dire liste i cui elementi sono tenuti assieme da un unico principio ordinatore ben individuabile); mentre quelle per proprietà danno origine a liste infinite, apparentemente disordinate e incoerenti (liste i cui elementi sono tenuti assieme da molteplici criteri o da meccanismi analogici non chiaramente ma potenzialmente individuabili).
Originariamente, l’elenco era un modo di catalogare la realtà con l’obiettivo di dominarla, di definire la one best way, direbbe lo Scientific Manager di Taylor, di fare le cose.
I due “usi” della tecnica dell’enumerazione si collegano alla diatriba fra Parmenide ed Eraclito, ieri, e fra l’Enciclopedia Britannica e Wikipedia, oggi: due modi opposti di catalogare la realtà, che si fondano su due antitetiche visioni “metafisiche” della sua più intima essenza – che a loro volta determinano due modalità differenti di gestire politicamente la società: quella scientifica e quella umanistica.
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