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Come diventare buoni

Da Lalelakatia
COME DIVENTARE BUONI Nel romanzo di Nick Hornby dall’ omonimo titolo il protagonista, Dave, l’ uomo più incazzato di Holloway, dopo essere sparito per due giorni insieme ad un santone tornava cambiato radicalmente: diventava altruista, generoso e caritatevole oltre ogni immaginazione, insomma, diventava buono. Ma qui oggi parleremo di un’ altra persona, la quale, oltre ad essere nota per per la sua stupidità, è nota soprattutto per il suo menefreghismo verso l’ umanità: me medesimo. Più che diventare buoni, qui si parla di umanizzazione, infatti la mia fedele compagna di viaggio sostiene che non sono proprio una cattiva persona, più che altro mi manca il lato umano, quel lato che permette di entrare in empatia con gli altri esseri. Giunti a questo punto del viaggio posso sostenere che questa è la mia missione; diciamo che sono partito senza uno scopo preciso e ora, dopo quasi un anno, inizio a capire che se c’è qualcosa che sta cambiando in me è proprio l’ approccio diverso verso gli altri, soprattutto verso quelle persone semplici alle quali un tempo non avrei dedicato nemmeno un secondo del mio tempo, e di questo devo ringraziare proprio le innumerevoli esperienze umane che mi ha regalato il viaggio. Ma veniamo a ciò che ha scaturito queste mie riflessioni: siamo arrivati a Calcutta. Calcutta, mica pizza e fichi, Calcutta la città simbolo di gioia e disperazione, di bruttezza e crudeltà, di umanità all’ ennesima potenza. Ecco, uno arriva a Calcutta e dice: “minchia se sono andato in barca a vela ai caraibi, ho fatto trekking in Patagonia, sono andato sugli elefanti in Cambogia, beh, se sono a Calcutta qua devo fare volontariato” La metto così perchè effettivamente è un luogo comune, la città è un po’ il simbolo del turismo umanitario (si, esiste questa nicchia di turismo), è piena di ONG di qualsiasi tipo e tutta la gente che si ferma per più di un paio di giorni lo fa esclusivamente per il volontariato, visto che in se Calcutta non è un posto che ti invoglia a fermarti a lungo. Sui motivi che spingono tutte queste persone a dedicare le proprie vacanze alla cura di diseredati di vario genere non mi va di entrare in merito, visto che sono davvero molteplici, da nobili a meno nobili e non tocca a me giudicarli. Mi soffermerò sui miei. E qui forse la questione è controversa: come è noto non sono affatto una persona caritatevole, non credo di potermi sentire meglio aiutando il prossimo, diffido delle organizzazioni umanitarie e non sono religioso. Ma allora perchè dovrei fare il volontario? Beh, quello che mi muove e credo muova il mondo intero è solo una cosa: la curiosità. Curiosità verso situazioni estreme con cui difficilmente si viene in contatto e curiosità sull’ effetto che possono avere su di me. Ora qualcuno potrebbe dire che come al solito sono egoista e anche questo l’ ho fatto solo per me, il che è vero, ma non penso ci sia nulla di male se questa esperienza può migliorarmi e poi, se facendolo ho portato una briciola di aiuto, è anche meglio. Tutto questo era solo per dire che non ce la farei mai a dire “quanto sono buono, umano e caritatevole” solo perchè ho rinunciato alla mia vita di fancazzista professionista per una decina di giorni… non vi preoccupate, sono ancora una cattiva persona, solo un pochino meno. Ma veniamo all’ esperienza: dopo varie ricerche la nostra scelta ricade sulla congregazione delle suore missionarie della carità, si insomma, quelle di madre Teresa per intenderci; molti miei amici anticattolici come il sottoscritto avranno un sussulto in questo momento, ma vi assicuro che se ci sono delle persone che si sbattono seriamente per dare un aiuto concreto e disinteressato a Calcutta e nel mondo, sono proprio loro, le simpatiche suorine col cappuccio bianco e blu. E quindi, senza nemmeno il tempo di riflettere su quello che ci aspetta, ci ritroviamo al Daya Dan una casa della congregazione dove ci si occupa di bambini abbandonati e portatori di handicap fisici e mentali di vario genere. L’ impatto non è dei migliori visto che senza nemmeno contare fino a tre ci ritroviamo in un grande atrio con una ventina di bambini, alcuni dei quali messi non troppo bene, un paio di sciure di quelle che aiutano a mandare avanti la baracca e nemmeno una suora che ci dica come muoverci e cosa fare. Io e la Katia ci guardiamo e senza parlarci ci diciamo con gli occhi qualcosa del tipo “ommadonna ma chi ce l’ ha fatto fare? e adesso cosa facciamo? voglio scappare ecc.” I bambini non ci cagano di striscio, le aiutanti nemmeno e le uniche due cose che ci restano da fare sono: rimanere impalati a fare i soprammobili o cercare di entrare in contatto con questo microcosmo. Ovviamente optiamo per la seconda e iniziamo a fare quello che ci viene meglio, ovvero io faccio lo scemo con i bambini mentre la Katia tira fuori la sua dolcezza nascosta. Il primo giorno lo passiamo con qualche difficoltà, ma lo passiamo. La sera siamo un po’ più riflessivi del solito, ma per fortuna a farci compagnia ci sono due simpatici italiani Marco e Manu impegnati insieme a noi al Daya Dan e, come noi, amanti del cibo indiano; quindi il nostro programma serale per il resto del soggiorno sarà semplicemente: abbuffata di intingoli e pane indiano da noi rinominato “scarpetta all’ indiana” con conseguente passeggiata digestiva. Già il secondo giorno la tensione si scioglie un pochino quando capiamo che in fin dei conti questi bambini da noi non hanno bisogno nient’ altro di più che un po’ di compagnia e coinvolgimento in un qualsiasi gioco nuovo, le attività in cui li coinvolgiamo vanno dal giocare con i lego al correre intorno al terrazzo cantando la canzone di rocky, dal disegnare con i gessetti a semplici coreografie tipo “giro giro tondo”. Impariamo a conoscere tutti i bambini e i loro bisogni, le situazioni surreali sono all’ ordine del giorno come quando si scatena una guerra in refettorio con lancio di piatti, o come la fuga di Anand in una vasca per fare il bucato e da lui scambiata per una piscina. Noi assistiamo divertiti a tutti questi episodi e ci divertiamo a prendere per il culo amorevolmente i bambini, più loro si divertono e più ci divertiamo noi, anche se spesso i loro divertimenti preferiti comportano sforzi fisici esagerati per la mia preparazione e per il clima di Calcutta, alla sera si torna sempre a casa sudati e puzzolenti. Quella che si prospettava come una settimana un po’ pesante alla fine volerà e ci ritroveremo al termine con 10 giorni intensi alle spalle senza accorgerci; i nostri pomeriggi con i bambini ci rimarranno impressi come una delle più belle esperienze del viaggio, quei marmocchi che nemmeno si accorgevano della nostra presenza all’ inizio piano piano si sono abituati a noi e hanno imparato a riconoscerci, a volte solo un sorriso, a volte un abbraccio, possono essere una grande soddisfazione. La Katia quasi scoppiava a piangere quando alla fine del soggiorno ci hanno cantato tutti in coro la canzoncina “thank you, thank you” mentre io ho avuto la mia soddisfazione in un modo più originale e inaspettato. Justice, il mio preferito, è un ragazzino autistico e chissà cos’ altro che vive nel suo impenetrabile mondo insieme ai suoi amici immaginari, difficile avere un qualsiasi tipo di comunicazione con lui. Ogni giorno, vedendolo seduto nell’ angolo da solo con quell’ espressione folle, ho provato a sedermi al suo fianco ma lui, sorridendomi, si alzava e se ne andava altrove; l’ ultimo giorno, all’ ultimo tentativo, mi avvicino e mi siedo, lui mi guarda, mi sorride e rimane li, passa qualche minuto e mi si appoggia alla spalla, poi mette la gamba sopra la mia, io incredulo, non sapendo bene cosa fare mi metto a cantare come il giorno prima: “giro giro tondo casca il mondo…” e lui incredibilmente mi guarda e in un perfetto italiano mi risponde: “casca la terra, tutti giù per terra” e mi guarda con quel sorriso che ai miei occhi sembra tanto il sorriso di uno che ha capito tutto e solo per un secondo ha voluto condividere con me il suo segreto, e per me è un bel premio, in fin dei conti per riceverlo ho dovuto solamente diventare un po’ più buono. Lale

COME DIVENTARE BUONI
p.s.ci sarebbe molto altro da raccontare di Calcutta e in generale di cosa è stato per noi arrivare in India, ma questo è un altro capitolo e, da quello che stiamo vedendo, sembra che avremo molto da raccontare di questo paese.


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