Eravamo rimasti ai bambini di Calcutta, a come sono diventato buono, ma se vieni India non basta diventare buoni, bisogna diventare santi. Parecchio tempo è passato e in questo momento mi trovo in una economicissima camera vista Gange bloccato in quel di Rishikesh a migliaia di kilometri dall’ inizio del nostro viaggio in India.
Dopo Calcutta, un po’ per la calura, un po’ per la nostra smania di montagna, non abbiamo saputo resistere al richiamo dell’ Himalaya e, nonostante la statistica meteorologica ci sconsigliasse di andare a nord, noi ce ne siamo fregati e siamo saliti sul nostro primo treno indiano, direzione Darjeeling.
La città oltre ad essere la capitale mondiale del the è anche la porta d’ accesso all’ ex regno del Sikkim e delle sue altissime montagne. Passare dalla pianura di Calcutta ai 2000 metri porta un certo sollievo, ma è solo per poco, infatti ci rendiamo conto che fa un freddo della madonna, piove costantemente, tutto è avvolto da una fitta nebbia e noi siamo in giro con vestiti estivi e l’ unica giacchetta che ci è rimasta. I giorni a Darjeeling saranno una continua lotta contro un’ umidità pazzesca che ti penetra nelle ossa; di vedere i giganti da 8000 metri non se ne parla nemmeno, quasi si fa fatica a vedere a 10 metri di distanza.
la massima visibilità a darjeeling
La Katia per consolarsi inizia con lo shopping compulsivo comprando ogni tipo di the pregiato a prezzi irrisori e tutti gli incensi che le passano sotto mano per cercare di togliere l’ odore di muffa dalla nostra camera.
Nulla di interessante a parte la visita ad una fabbrica di the e varie degustazioni delle innumerevoli qualità (per me è sempre the) inizia a mancarci un po’ l’ India incontrata a Calcutta e il sole, ma testardi proseguiamo.
Cambio di mezzo di trasporto, si passa alle jeep, praticamente onnipresenti in montagna e presto capiremo il perchè.
Dopo un errore di valutazione (dovremmo guardare la cartina ogni tanto) finiamo a Gantok, capitale del Sikkim, ribattezzata da noi la Cortina dell’ India da quanto è pulita, precisa e cara; solo per far capire qui è vietato fumare ovunque per strada, dobbiamo imboscarci dietro le macchine parcheggiate. Non fa per noi, fa poco India e ce ne andiamo.
Il viaggio per Pelling sarà un’ odissea di 9 ore per 125 km fra jeep che non partono, ingorghi montani, frane ogni 10 minuti, ma alla fine arriviamo sani e salvi in questo paesino turistico completamente deserto e indovinate come mai non ci sono turisti.. la super nuvola ci insegue e anche qui siamo immersi nella nebbia a far compagnia a muschio e funghi.
strade del sikkim
Iniziamo ad averne abbastanza ma oramai aspettiamo ancora un paio di giorni per un appuntamento tanto desiderato: direttamente dalla Nuova Zelanda, anche loro sulla strada del ritorno a casa, i nostri amici lettoni Janis e Laura ci raggiungono in questo luogo nebbioso per continuare insieme il viaggio attraverso l’ India.
Il feeling è sempre lo stesso, come ci fossimo salutati solo pochi giorni fa, passiamo subito ai racconti degli ultimi mesi e ai festeggiamenti: in Sikkim è vietato fumare, ma al contrario del resto dell’ India si può reperire ogni tipo di alcolico a poco prezzo e ad ogni angolo di strada; optiamo per il rhum sikkimese, che non sarà come lo Zacapa di 27 anni che ci eravamo bevuti in Nicaragua, ma costa poco più di un euro a bottiglia e il risultato finale è molto simile.
reunion celebration
Anche a loro come a noi sta crescendo il muschio negli zaini quindi decidiamo che per questo momento il risultato è: Himalaya-Lalelakatia 1-0, torniamo in pianura nella calura, ma presto ci riproveremo.
Nei giorni seguenti raggiungeremo molto lentamente Varanasi causa frane, scioperi, treni in ritardo ma trascorreremo delle belle giornate in posti semisconosciuti dal turismo mangiando ogni porcata fritta che si può trovare ad ogni angolo della strada e intrattenendo chiaccherate con qualcuno dei miliardi di indiani curiosissimi, sempre pronti ad attaccarci la pezza.
E poi raggiungiamo Varanasi, come milioni di pellegrini prima di noi, arriviamo nella città più sacra dell’ India, la città più antica del mondo e subito il rilevatore di emozioni va in tilt, veniamo investiti da quell’ indianità incontrata a Calcutta ma ancora più potente; questa è per definizione la città più assurda del pianeta dove lo strano è dietro ogni angolo per noi gringos, ma per loro, gli extraterrestri che la abitano, si tratta di normalità.
Prendiamo base in una pensione vicino al Gange nella città vecchia con vista fiume, essere in 4 è una buona arma di di ricatto nel chiedere lo sconto per la camera e d’ ora in poi la nostra risposta agli avidi gestori di alberghi sarà “300 rupie sono meglio di 0 rupie”. Di solito accettano e noi ci becchiamo camere per 2,5 euro a coppia!!
Quella sera avremo solo il tempo di mangiare qualcosa e gustarci dalla terrazza i roghi in riva al fiume con conseguente odore di pollo nell’ aria…
Il giorno dopo e i seguenti giorni ci mischieremo nell’ assurda umanità che popola le luride viette della vecchia Varanasi, un intricato dedalo di stradine popolate da ogni sorta di stranezza e schifezza: una passeggiata rilassante la dentro significa schivare ogni 2 minuti: mucche, tori e vitelli, la loro cacca ovunque, un indiano qualunque che sputa una secchiata di saliva rosso betel vicino ai tuoi piedi, moto che ti suonano dietro, venditori di hashish-spacecake, ragazzini guide turistiche improvvisate, guru che ti leggono la mano o la faccia o altrimenti vendono anche loro spacecake, e poi cortei funebri che trottano nelle strette vie recitando mantra mentre trasportano una barella+morto+festoni di natale+fiori.
Si, perchè l’ odore di pollo nell’ aria non è pollo, ma carne di cristiano, o meglio di induista.
Qui arrivano da tutta l’ India per farsi cremare in riva al Gange perchè sembra porti bene. Noi assistiamo al macabro rito ma niente foto perchè si incazzano.
morto che passa
katia e una sua simile
janis nel tipico gesto di sputare il betel
Per il resto della settimana ci facciamo avvolgere dall’ atmosfera della città e assumiamo le loro usanze per quanto riguarda il cibo: un trionfo di samosa (panzerotti fritti ripieni di patate speziate), chola e chapati (zuppa di ceci e delle specie di frittelle), dal fry con riso (pastone di lenticchie) e l’ immancabile e buonissimo lassi (frullato di yogurt), il tutto consumato per strada e in condizioni igieniche a cui è meglio non pensare, ma sembra che oramai i nostri anticorpi siano diventati invincibili e il nostro budget oltretutto ne gioisce visto che oramai viviamo con 5 euro a testa al giorno tutto compreso senza farci mancare nulla, anzi la Katia finalmente con il supporto di un’ altra ragazza, si lancia nello shopping sfrenato, io e janis magnanimamente concediamo loro un centinaio di rupie giornaliere per le spesucce..
Anche se non ne parliamo mai apertamente fra noi aleggia una sfida che prima di lasciare Varanasi dobbiamo affrontare.
samosa fresche e salutari soprattutto
chola
il lassi più buono di varanasi
Oltre che farsi bruciare gli indiani vengono qua per le famose abluzioni nel Gange, ovvero fanno il bagno nel fiume, ma non solo, ci si lavano, bevono la sua acqua e chissà cos’ altro.
Non ci sarebbe nulla di male se parlassimo di un torrente di montagna, ma il Gange da queste parti ha già attraversato troppe città e una volta arrivato a Varanasi riceve la botta finale: il fiume praticamente è una fogna a cielo aperto fra spazzatura, acque di scolo che non passano da depuratori, ogni tipo di cadavere che non può essere bruciato e quindi gettato in acqua, insomma una schifezza.
Leggendo la guida scopriamo che campioni d’ acqua raccolti nel fiume rivelano la presenza di 1,5 milioni di batteri fecali per 100 ml, quando un’ acqua considerata balneabile non dovrebbe averne più di 500 e da queste parti il Gange è privo di ossigeno, insomma un fiume morto.
Detto così fa un po’ schifo, ma mettetevi nei miei panni quando Janis mi dice che ci si viene una volta nella vita a Varanasi, che tutti ci fanno il bagno e non muore nessuno (forse), che è la nostra occasione per diventare santi ecc. insomma, mi sfida a fare il bagno nel fiume e io non so dire di no ad una sfida e poi se non l’ avessi fatto lui avrebbe potuto bullarsi con me per il resto del viaggio su quanto è più coraggioso di me.. non avevo scelta.
Così dopo una buona colazione e dopo esserci messi le collane di fiori in onore di shiva (si siamo dei coglioni) andiamo al ghat più vicino all’ albergo e senza pensarci troppo ci pucciamo nelle acque color cioccolato (cioccolato??) insieme ad un indiano che era già li a raccattare monete dal fondo del fiume. Laura ci segue visto che è il suo compleanno e vuole una festa particolare, mentre la Katia proprio non ce la fa (le sue testuali parole sono: non sono mica scema!!) quindi farà la cine operatrice del nostro nuovo film (presto su questi schermi).
Se non si pensa al posto dove ci si trova e al fatto che pochi metri più in la stanno bruciando corpi, l’ esperienza è quasi rinfrescante e per lo meno mi posso considerare benedetto dalle sacre acque.. sacre acque subito rimosse da una tripla doccia!
Quindi a questo punto posso spuntare dalla mia personale lista anche “diventare santo”.
acqua azzurra acqua chiara
Anche se ogni giorni scopriamo qualcosa di nuovo e interessante di Varanasi è oramai giunto il momento di lasciarla e a malincuore ci infiliamo su un altro incasinatissimo treno, con i soliti ficcanaso che ti fissano per tutto l’ interminabile viaggio, i bambini che passano a chiedere soldi, i venditori di the che sembrano essere più dei passeggeri, i travestiti che chiedono anche loro soldi se no ti maledicono e l’ immancabile vicino di posto che ti fa l’ intervista e poi vuole la foto con la Katia.
Ci stiamo innamorando sempre di più dell’ India e soprattutto degli indiani i quali sono forse la popolazione più casinista, invadente, maleducata e psicopatica incontrata finora, ma quanto a simpatia e voglia di contatto umano sono i migliori.
Ora come dicevo siamo bloccati a Rishikesh, fantomatica capitale mondiale dello yoga, piena di santoni indiani e fricchettoni occidentali. Il posto non ci entusiasma vista la presenza di troppi gringos per i nostri gusti, ma la povera Laura dopo aver pronunciato la maledetta frase “io non mi ammalo mai” è rimasta a letto 3 giorni con 40 di febbre; si sospetta qualche batterio bastardo, noi ci scervelliamo per cercare di capire cosa può essere stato: l’ acqua delle tubature vecchie, quella spremuta presa per strada, stoviglie lavate male in qualche bettola…
Nessuno lo dice, ma l’ inquietante domanda aleggia fra di noi.
L’ acqua del Gange?
Quanti giorni di incubazione hanno i batteri del Gange??
E soprattutto, i santi sono immuni?
Lale
Inviato il 02 novembre a 11:55
fare un viaggio solo per il (cattivo) gusto di raccontarlo quasi fosse le memorie di un reduce. DEll'intelligenza