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Come è cambiato l’italiano nelle telecronache

Creato il 23 luglio 2015 da Aplusk

Come è cambiato l’italiano nelle telecronacheL'italiano nelle telecronache o nelle interviste tv sta cambiando parecchio, ci avrete fatto sicuramente caso.

Termini usati a vanvera e in modo inappropriato, che in una telecronaca o nel contesto da stadio, sembrano trovare opportuna collocazione. In realtà il loro utilizzo non è quasi mai quello corretto. Ho trovato in rete e letto con interesse un articolo di Tommaso Pellizzari per il Corriere della Sera, risale a un paio d'anni fa. Scriveva: "Tutto comincia con un giornalista che utilizza una determinata parola o un determinato modo di dire, spesso nella convinzione di essere forbito ed elegante. Il calciatore e l'allenatore... lo ripetono a loro volta nelle interviste... autorizzando gli utilizzatori iniziali e quelli successivi a convincersi che quel modo di esprimersi sia corretto, efficace e pure raffinato".

Si va dai termini singoli, alle intere frasi ad effetto. Pensateci su, è effettivamente così. E non parlo dell'estremizzazione picciniana della cronaca sportiva, "il mucchio selvaggio" è un'esasperazione lessicale che, come molte altre, trovo molto divertente. Mi riferisco nello specifico alle storpiature della lingua italiana, cose che se accadessero sui banchi di scuola, vorrebbero dire bocciatura istantanea. Si scherza.

Lo stesso Pellizzari lanciava il sasso, che ho deciso di prendere al volo e rilanciare. Un giocatore oggi non è più forte, bravo, capace, è "di qualità", come stessimo parlando di un prodotto alimentare prelevato dai banchi al supermarket, così come non esistono più momenti di gioco decisivi, situazioni determinanti o interessanti, tutto diventa "importante" al limite della compulsione-ossessione. Qualcuno ha cercato di datare l'inizio del fenomeno ai post partita di Nedo Sonetti, Atalanta, siamo negli anni ottanta.

E vogliamo parlare dei top player - ahimè, ci casco anch'io - che sentiamo ripetere ormai cronicamente? Chiedete a chi bazzica tra Londra e Cambridge se ne ha mai sentito parlare, sono neologismi e derivati di pura fantasia. Sempre nel pezzo di Pellizzari si faceva riferimento anche al termine "dove" che, come il prezzemolo, viene ormai utilizzato praticamente dappertutto. L'origine sarebbe da attribuirsi a un campione del mondo '82, che fece riferimento a "un gruppo di amici dove usciamo spesso a cena". Da lì in poi fu sdoganato e trovò piena diffusione.

Restiamo agli ultimi 4-5 anni: nelle interviste, conferenze stampa o trasmissioni tv non esistono più valutazioni mirate e considerazioni particolari, nessuno parla più di "dobbiamo vincere questa partita perché la qualificazione è fondamentale e nel doppio confronto è sempre meglio disputare la prima gara in casa", ormai esiste solamente il "dobbiamo fare bene" che vuol dire tutto e niente e finisce per svilire ogni considerazione tattica, stratagica o stretigico-tattica.

Non mi interessa più di tanto capire se sia il giornalista di turno per primo a influenzare il linguaggio o se la paternità del fenomeno spetti all'allenatore/calciatore del caso, trovo più interessante fare la seguente considerazione: stiamo vivendo un'omologazione generale del linguaggio, legata al calcio, che finisce per estendersi anche al di fuori di esso. E che dire dei verbi ormai coniugati solo ed esclusivamente al modo indicativo? Condizionale e congiuntivo non esistono quasi più: "Se segniamo quel gol, la partita cambia faccia" o "se non sbaglia quel rigore, parliamo di un'altra partita".

Vi siete mai "mentalizzati" su questo aspetto? Eccone un altro usato impropriamente, ma in realtà col calcio non c'entra davvero nulla.

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