Parliamo di felicità.
Domande scomode del tipo: ma tu, sei felice? Pensiamo che mirare alla propria felicità sia un bene, ma allo stesso modo siamo rassegnati a non esserlo fino in fondo.
Rimane questa felicità irraggiungibile in un angolo; vorrai mica essere così presuntuoso da trovarla proprio in un periodo così nero?
Risposta d’istinto: sì. Risposta pensata: pure.
E per fortuna guardo emozionato il video di Simon Sinek, un altro fricchettone che dice: credere negli altri è un atto di egoismo. Più siamo circondati di gente che crede in noi, più cresce la nostra autostima e la capacità di prendere rischi.
Prendere rischi è, secondo alcuni, tipo io, il più piccolo elemento costitutivo di una società che vive nel presente e sta costruendo il proprio futuro.
Per altri, più semplicemente, una prestazione a partita iva.
Ma sono punti di vista.
Come questo blogger che aggiunge un altro tassello: ma com’è che a parità di condizioni di vita (lavoro, famiglia) all’estero mi sento più felice? E la risposta è: in Italia abbiamo smesso di credere negli altri.
Anzi di più: lavoriamo assiduamente, inconsciamente e duramente per trasmettere energia negativa a chiunque manifesti la minima forma di felicità.
Questo non lo fa lo Stato, non lo fanno i politici, i corrotti e i figli di papà: lo fanno tutti.
Che certo messa così è più dura del bel discorso di Simon, ma per fortuna siamo italiani, magari con ancora qualche voglia di lasciare un’orma su questo noioso presente, e qualcosa possiamo pur farci.
Pochi percepiscono questa mentalità, perché se conosci un solo modo di vivere questo ti apparirà “unico e giusto”; ma se hai vissuto all’estero il ragionamento ti suonerà quasi scontato.
Qualcuno di tanto in tanto mi riconosce, ricorda i miei consigli sull’estero e comincia a chiedermi delle paghe, del cibo, del clima.
A quel punto tiro un sospiro.
Faccio un sorriso.
E chiedo: ma tu, sei felice?