Il sottoscritto aveva quattro anni in quel memorabile 1976. Eppure davvero mi ricordo tutto, in particolar modo la faccia di mio padre alla vista del fuoco: non avevamo ancora la televisione a colori in casa, ma vi assicuro che le fiamme fanno impressione anche in bianco e nero... le fiamme erano quelle della Ferrari di Niki Lauda, il circuito quello del Nurburgring (Germania), la tragedia quella che si stava consumando alla curva del Bergwerk dove il bolide rosso aveva sbattuto prendendo fuoco: il pilota austriaco aveva perso conoscenza dopo l'urto e stava bruciando vivo. Fu solo grazie al coraggio di tre colleghi (tra cui il nostro Arturo Merzario, unico a tuffarsi in mezzo alle fiamme per estrarlo) che Lauda oggi può raccontare quel giorno terribile... e allo stesso tempo scherzarci sopra, come spesso ama fare: ancora oggi può vantarsi (parole sue) di essere 'l'unico pilota al mondo ad aver vinto due titoli mondiali dopo l'estrema unzione'.
Andò davvero così. Lauda fu portato in ospedale in condizioni disperate: aveva ustioni gravissime su tutto il corpo, in particolar modo sulla faccia e sugli occhi. Un lobo dell'orecchio fu completamente arso dalle fiamme. Ma il vero problema erano i gas tossici inalati durante l'incendio, che avevano quasi compromesso le vie respiratorie. La situazione pareva disperata tanto che, appunto, venne addirittura convocato il prete per l'ultimo saluto. Eppure, miracolosamente, già dopo un paio di giorni di agonia le condizioni del pilota iniziarono a migliorare: Lauda resisteva, e dopo nemmeno una settimana di ricovero fu dichiarato fuori pericolo, sebbene avesse il volto (e la psiche) orrendamente sfigurati dal fuoco.
E qui viene il bello. La parte più incredibile di questa storia.
Lauda quell'anno stava dominando il campionato. Ma l'incidente, inevitabilmente, rimese tutto in discussione. Ad approfittarne fu il suo rivale diretto in classifica, l'inglese James Hunt, che al volante della sua McLaren cominciò a inanellare vittorie a ripetizione. I media ci andarono a nozze: Hunt caratterialmente era l'esatto opposto di Lauda. Tanto l'austriaco era glaciale, introverso, calcolatore, timidissimo, quanto Hunt era spavaldo, guascone, bello come il sole, sempre circondato da donne, sempre disponibile per un autografo o un'intervista. I giornali avevano (finalmente) il loro nuovo idolo, il personaggio che fa notizia, l'uomo giusto per vendere copie e aumentare l'audience.
Ma non avevano fatto i conti con Lauda.
Che, tra lo stupore generale, e con l'incoscenza tipica dei piloti di Formula Uno, a soli 37 giorni dall'incidente tornò a sedersi nell'abitacolo della Ferrari. La notizia risuonò in tutto il mondo: Lauda si ripresentò in pista a tre gare dalle fine, con le bende sul volto e le ferite ancora fresche. Era difficile guardarlo in faccia, uno spettacolo raccapricciante. Ma forse alla gente faceva più paura per la sua tremenda forza di volontà, da tutti considerata inumana. Potete immaginarvi cosa furono le ultime tre corse, un duello senza fine alimentato dai media: il 'miracolato' contro il playboy, il 'bello' contro la 'bestia'...
Fattostà che Lauda in tre gare ottiene due piazzamenti sul podio. Roba quasi incredibile, secondo gli addetti ai lavori, dato che con gli occhi ancora semichiusi non riesce nemmeno a vedere bene la pista. E si arriva così all'ultima corsa, il Gran Premio del Giappone, sul circuito del Fuji. Nonostante tutto, Lauda ha ancora un margine rassicurante su Hunt, tanto che gli basterebbe arrivare davanti al rivale per laurearsi campione. I giornali 'prenotano' già i titoli: un'impresa epica, un risultato straordinaro.
Ma la gara si disputa in un clima da tregenda: a pochi minuti dal via, un temporale pazzesco si abbatte sul circuito, creando seri problemi di sicurezza. La gara viene posticipata di due ore, ma la pista è ancora allagata. Si parte lo stesso, e dopo due giri Lauda rientra ai box, si slaccia le cinture e scende dall'auto. La sua dichiarazione è tanto laconica quanto sconvolgente: 'Ho paura'. Lo staff del Cavallino cerca disperatamente di convincerlo a ripartire, ripetendogli che anche andando alla velocità di un tassista vincerebbe il campionato senza correre alcun rischio... ma il pilota austriaco è irremovibile: 'per me la corsa finisce qui'. Ironia della sorte, dopo pochi minuti la pioggia finisce e James Hunt vince il titolo arrivando terzo, quando già sulla pista calano le luci del tramonto. Hunt è campione del mondo per un solo punto, e quando taglia il traguardo non lo sa nemmeno, furioso con la sua scuderia per averlo richiamato ai box a soli tre giri dalla fine per un pit-stop che si rivelerà decisivo.
Il 'gran rifiuto' di Lauda al Fuji
Ma l'attenzione, inutile dirlo, è tutta su Lauda e il suo 'gran rifiuto', che sconvolse il mondo sportivo. pareva incredibile che quell'uomo, dopo tutto quello che aveva passato e il coraggio dimostrato nel rimettersi al volante di una macchina da corsa, abbandonasse senza combattere. Lauda fu ancora una volta freddo e risoluto, assumendosi ogni responsabilità e compromettendo definitivamente il già difficile rapporto con Enzo Ferrari, che l'anno dopo lo scaricherà per assumere al suo posto un certo Gilles Villeneuve.La versione dell'austriaco fu sempre la stessa: 'L'incidente del Nurburgring non c'entrava niente. In Giappone non c'erano le condizioni di sicurezza, e quel gesto lo rifarei non una, ma mille volte'.
Ora, vi chiederete perchè mi sono dilungato nel raccontarvi questa storia.
Semplice: perchè questa storia sta per diventare un film: si chiamerà Rush ed arriverà nelle sale italiane a settembre. A dirigerlo sarà un regista esperto e specializzato in film d'azione come Ron Howard, mentre ad interpretare Lauda e Hunt saranno rispettivamente Daniel Bruhl e Chris Hemsworth. Nel cast figurano anche Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara e, udite udite, nientemeno che Pierfrancesco Favino nel ruolo di Clay Regazzoni (!).
Che film sarà? Difficile dirlo... e difficile, soprattutto, fare un film su una storia così incredibile da essere vera. E quando la realtà supera davvero la fantasia, si sa che è sempre la fiction a rimetterci. Specialmente quando si tratta di girare film sportivi, i più complicati da traporre sullo schermo, proprio per la caratteristica madre dello sport tutto: che già di per sè è una 'macchina da emozioni', e ricalcare quelle imprese dietro una macchina da presa sa già di 'rivisto', di minestra riscaldata.
Però Howard, come detto, è un veterano del cinema action, e di sicuro avrà valutato bene i rischi di questa complicata operazione, resa possibile da un budget di quasi 40 milioni di dollari e spettacolari effetti speciali. Il film, forse, non sarà qualitativamente eccelso. Ma siamo pronti a scommettere, fin da ora, che avrà un enorme successo.
L'INCIDENTE DI LAUDA (NURBURGRING 1976 - CLIP)