Come frammenti di uno specchio...

Da Claudiacavaliere
Lo specchio è lo spazio magico delle combinazioni complesse. I frammenti dello specchio, lo specchio stesso rappresentano il simbolismo della nostra identità e della nostra stessa vita. Lo specchio ci parla dei problemi della simmetria, della logica, dei mondi possibili, della mitologia. Secondo la concezione psicoanalitica di Lacan lo “stadio dello specchio” è una specifica tappa evolutiva nel cammino che conduce l’uomo alla presa di coscienza del proprio corpo. Lo specchio quindi come elemento di autoidentificazione. E per Alice, nel romanzo di Lewis Carroll “Attraverso lo specchio”, il mondo dello specchio e Alice sono il mondo in cui si crea la nostra logica di senso. E’ il mondo in cui ci sono le cose e gli stati di cose e il senso è il senso del pensiero in superficie. E’ lo spazio in cui si ricompone  la dicotomia, che sempre ci accompagna, fra spazio interno e spazio esterno. Noi siamo l’idea di un qualcosa sempre in movimento, siamo un circolo in cui i contrari non possono per forza venire meno. C’è un momento in cui metaforicamente ci fermiamo un attimo e, guardandoci nello specchio, l’anima si “riconosce” nel suo continuo divenire e nella comprensione del nostro essere troviamo la conquista della nostra libertà. Ogni frammento dello specchio ci rimanda un frammento di noi ed è nel gioco di specchi che si ricompone la coincidenza degli opposti. Ma quand’è quel momento in cui ci riconosciamo nello specchio? Quand’è che, guardandoci nello specchio ci diciamo “hei! Ma quello sono proprio io!” Quand’è che i pezzi, i frammenti dello specchio che ci rimanda sfaccettature e pezzi sconnessi di noi, si ricompongono? Forse è il momento in cui capiamo qual è il “senso” del nostro cammino, afferriamo la compiutezza della strada che stiamo percorrendo e allora, guardandoci nello specchio ci riconosciamo. Attribuiamo un senso al nostro “viaggio”, al nostro “vagabondare” nel mondo e nella nostra identità. E, a proposito di questo viaggio ecco cosa racconta Herman Hesse parlando di Boccadoro: “Dal viaggio era tornato un vecchio molto stanco e diventato un poco ottuso, un uomo sparuto, che non faceva certo bella figura, e tuttavia non gli era affatto antipatico, anzi gli piaceva, aveva nel volto qualcosa che il bel Boccadoro di un tempo non aveva avuto, in tutta quella stanchezza e decadenza c’era un tratto di contentezza, oppure di equilibrio interiore. Rise un poco fra sé e vide ridere anche l’immagine dello specchio: un bel tipo aveva riportato a casa dal viaggio!”. E’ quando ci riconosciamo e ci sorridiamo nello specchio che la vita ha trasformato anche noi, come Boccadoro, in “un bel tipo”. E’ quando i pezzi della nostra vita, come i frammenti dello specchio, si rimpiazzano l’un l’altro e si sistemano uno alla volta con il procedere del viaggio nelle peripezie della nostra trasformazione psichica. Nel momento in cui ci si appropria del “motivo” del nostro procedere tutti i pezzi si rivelano frammenti di uno specchio che ricompongono la sola immagine del nostro volto. A questo proposito Carl Gustav Jung scrive: “Lungo il cammino della vita, non facciamo che incontrare sempre di nuovo noi stessi sotto mille travestimenti”. E nella biografia di Tadeo Isidoro Cruz, Luis Borges racconta: “Nella notte in cui, con i suoi uomini, era sul punto di catturare l’assassino a cui dava da tempo la caccia, ebbe il suo lampo e cominciò a comprendere. Comprese che un destino non è migliore di un altro, ma che ogni uomo deve compiere quello che porta in sé. Comprese il suo intimo destino di lupo, non di cane da gregge, comprese che l’altro era lui.” C’è nel nostro tentativo costante di ricomporre una totalità con i frammenti dello specchio la necessità di prendere i singoli pezzi di ciò che siamo e di ciò che accade, di riproporli e di riformularli costantemente per rappresentare quel senso che ci sfugge, quel senso che costruiamo quando abbattiamo quel sottile confine che divide l’ovvio dal profondo. E quando troviamo il “senso”, allora ci è chiaro il disegno secondo il quale i pezzi si ricompongono.
Ed è nella nostra sfida di  ricomporre i pezzi e di riconoscerci nell’immagine che ci rimanda lo specchio che spesso, come Alice nel paese delle Meraviglie saltiamo “Oltre lo specchio” per appropriarci di tutta  la “complessità del senso” fra la percezione immediata e il senso dell’assimilazione. E per arrivare al “senso” come Alice dobbiamo non dobbiamo stupirci se per arrivare in un posto è necessario camminare nella direzione opposta, dove il tempo scorre al contrario, dove per restar fermi bisogna correre a perdifiato. Un mondo in cui il passaggio dalla realtà al sogno avviene in modo dolce e morbido inserito in una continuità e non in una frattura.

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