Non so, né francamente mi interessa, quale strategia politica perseguano i quotidiani-partito di questa Isola, oggi La Nuova, domani L'Unione sarda, appoggiando l'uno il centrosinistra l'altro il centrodestra, con l'informazione oggettiva lasciata sempre più sullo sfondo. È persino naturale che in questo bipolarismo mediatico tertium non datur fra destra e sinistra, che non sia contemplato, cioè, un partito fuori da questo schema. Capita persino nel campo della politica a partiti e movimenti che, pur essendo presenti solo in Sardegna, pre-giudicano il loro schierarsi a sinistra o a destra non sulla base di programmi, ma del loro stesso essere, come se in tutte le società si nasca necessariamente di destra o di sinistra.
È questo che nel passato ha comportato accuse di tradimento rivolte al Partito del popolo sardo (poi confluito in Fortza Paris insieme al movimento Sardistas, anch'esso “traditore”) e più recentemente al Partito sardo che avrebbe abiurato alla sua “natura” di sinistra (?) e al movimento nuorese di Efisio Arbau presentatosi alle elezioni fuori dalla casa madre Pd. Non sono, questa della fedeltà allo schieramento e l'altra di “il tradimento”, categorie esclusivamente dello spirito di sinistra; ha avuto un corrispettivo nel campo opposto che, senza successo, ha chiesto proprio al Psd'az un giuramento di fedeltà al centrodestra, pena l'accusa di eresia.
Il fatto è che, pur nella inconsapevolezza dei portatori sani della alterità, la politica dei partiti locali ha tutte le caratteristiche di forza dirompente del bipolarismo imposto per legge e non, come dovrebbe essere, bipolarismo a geometria variabile. I partiti locali, se hanno senso di esistere, dovrebbero essere gigantesche Pro loco che organizzano un programma a cui si aderisce secondo vicinanze culturali e politiche che non sono date per sempre. Il declino, alla fine degli anni Ottanta, del Partito sardo fu determinato dal suo schierarsi pregiudizialmente, non sulla base dell'adesione dei futuri alleati al suo programma. Così come la sua rinascita in corso è dovuta alla sua disponibilità ad allearsi con quanti ne condividano il programma. E il suo rafforzamento eventuale è legato alla capacità che avrà, o non avrà, di far rispettare ai suoi alleati il patto sottoscritto.
Chi, come me, ha una considerazione particolare per il problema della lingua, insieme elemento immateriale per il suo essere nella sfera dei diritti e “materiale” per la sua capacità di provocare economia, non può non apprezzare il fatto che, grazie ai sardisti (e alla pressione del Comitadu pro sa limba sarda), i tagli regionali previsti non ci saranno. Sottovalutata per troppo tempo, la “questione lingua sarda” è di nuovo al centro dell'interesse sardista. So che non è così, ma fingo di credere che lo sia perché è spendibile nel mercato della politica come e più di altre merci.
Certa è una cosa. I quotidiani-partito hanno ben chiara la questione: anche solo parlare di lingua sarda “si fa il gioco” del Partito sardo (non per caso si possono permettere di flirtare con iRS e con la sua ambiguità in merito). Così succede che non solo non abbiano parlato dei tagli decisi dall'Assessorato della cultura contro la lingua sarda, ma non abbiano parlato neppure della cancellazione dei tagli decisa – alla unanimità – dalla Commissione bilancio presieduta da un sardista. Ogni volta che si pongono questioni di lingua – diceva Gramsci – in realtà si pongono altre questioni. Qui, per esempio, si pone la questione di una nuova classe dirigente, politica, sindacale, imprenditoriale, culturale e, perché no?, mediatica.
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