
Come ho preso lo scolo
Su questo non c'è molto da dire, è breve e divertente. Quello che stupisce è il tipo di domande che deve vedersi rivolgere uno scrittore da intervistatori... come dire, eccessivamente zelanti?
Nel deserto con Monicelli
Così come anticipa il titolo, qui Scarpa racconta di quando ha recitato per un paio di scene nel film Le rose del deserto di Monicelli. Monicelli è un pezzo di cinema che mi manca, così come tutta l'enorme fetta di cinema italiano. Credo dipenda dal fatto che non ho mai imparato a rispettarlo né ad apprezzarlo, il cinema nostrano. Il suo sgretolamento è iniziato prima che io potessi conoscerlo, e adesso andare alla ricerca del suo splendore mi sa di archeologia, di ricerca storica più che di visione cinematografica. Monicelli, però, devo recuperarlo. Lo sapevo anche prima di leggere questo saggio, però ora lo sento almeno quel poco più vicino che basta perché mi vada a procacciare qualcosa di suo.
Cosa ho imparato in piazza
Mi è difficilissimo immaginare cosa voglia dire abitare in un luogo in cui, santoddio, la Lega è una forza maggioritaria. Sono cresciuta in una delle cosiddette 'regioni rosse' e fino all'ultimo anno delle superiori non avevo mai parlato con un leghista. Davvero. Per me la Lega era reale come la versione razzista di Babbo Natale, e che esistesse gente capace di ascoltare Borghezio senza scoppiare a ridere per me era, e rimane, un mistero insondabile.Ma Scarpa è veneto e il Veneto è, come buona parte del nord, zona leghista. Ed è inutile cercare di nascondere o spiegare l'istinto che scalpita dietro la Lega, che venga dalla paura, dall'ignoranza o dall'essere degli incontrovertibili schizzi di guano. Razzismo, omofobia, la propria cultura intesa in ogni sua minima manifestazione come una rocca inespugnabile, e l'arrivo di culture altre come una minaccia che non tarderà a esplodere. Il 'prima noi' che è espressione dell'egoismo più bieco e disgustoso, impossibile da nascondere – per quanto non siano pochi a tentare – con ragioni di economia, di mercato, di territorio.E dicevo, in questo saggio, quello che più si arrovella e dispiega, Scarpa parte da una manifestazione cui ha preso parte nel 2008, insieme ad altri colleghi scrittori, che voleva riaffermare l'accoglienza come valore. E parte dalla piazza in cui la manifestazione ha avuto luogo per raccontare altre piazze, il potere dell'amplificazione, le cronache sui giornali e i loro toni, la radio. Passa per D'Annunzio, per Hitler, per Woody Allen col suo discorso meta-filmico in Io e Annie, per Cultura convergente di Henry Jenkins, che sto leggendo in questo periodo per la tesi – non è strano come a volte i libri che leggiamo si intreccino e si incontrino, quasi si fossero messi d'accordo? - e il suo saggio dedicato al reality Survivor. Dai discorsi ai loro mezzi. È il saggio più lungo del libro, ne copre quasi metà, e credo sia quello che ho gradito maggiormente, anche se probabilmente è anche il meno 'leggero'.
La realtà e le leggi
Per chi non lo sapesse, Stabat Mater parla di un'orfana nell'Ospedale della Pietà, ed è ambientato all'inizio del '700, quando Vivaldi ha iniziato a collaborare con l'istituto. Non conosco abbastanza compositori per poterlo affermare con ferrea certezza, ma Vivaldi al momento uno dei miei compositori preferiti. Non tanto per le sue Stagioni, ma per altre composizioni, che magari linkerò in fondo al post. Il suo Stabat Mater, tanto diverso dalle sue allegrie barocche, non manca mai di accompagnarmi nel tragitto verso un esame particolarmente complesso.

Disavventure del mio nome
Comprendo Scarpa, in quest'ultimo saggio. Il mio cognome è comunissimo nella mia zona, anche se non posso vantare omonimi illustri come quelli dello scrittore. Né mi è mai capitato di sentirmi attribuire speranzosamente discendenze ignote, né l'omonimia con un ragazzo deceduto.Il focus però non sta negli aneddoti, ma dalle varie considerazioni sul valore del 'nome', che sono state al centro della discussione che ho avuto con Scarpa, mesi fa. La responsabilità del nome, della sua forza performativa, del valore che si inceppa nelle dichiarazioni non firmate o siglate con uno pseudonimo. Il valore della riconoscibilità, del cambio di idea che può celarsi dietro un cambio di firma, e delle dichiarazioni che restano invece incollate al dato anagrafico. E così via.Invero è stato curioso rileggere alcune argomentazioni su carta, anche se ancora adesso non riesco a dirmene convinta. Le comprendo e penso sia impossibile confutare la questione della responsabilità individuale. Eppure non riesco neanche a vedere dimezzato il valore delle affermazioni di chi sceglie lo pseudonimo. Non riesco a credere nel pieno potere del nome anagrafico che si prosciuga nel nome fittizio. È troppo semplice parlare di identità staccate che si avvalgono di uno stesso corpo, e delle diverse funzioni che queste identità possono ricoprire, senza sfiorarsi mai, è ovvio che la discussione non può esaurirsi così facilmente. Scarpa parla di quello che si può fare e non fare col suo nome reale, e ha ragione.

E dunque, questi erano i saggi, uno per capitolo. Mi rendo conto che è un post parecchio lungo, e plaudo a chi ha saputo raggiungerne la fine. È stata una lettura interessante, nonostante il mio legame con la saggistica sia flebile. Ho trovato diversi spunti interessanti, dal racconto di un set cinematografico nel deserto alle letture in piazza. Credo che questo sia uno dei post che ho impiegato più tempo a scrivere, ragion per cui salto gli svolazzi di congedo e filo a prepararmi il pranzo.E tanto, tanto caffè.