Come ho saputo di..Calder…quello che ho visto all’ARCA di Vercelli.

Da Gianpaolotorres

Un McDonnel Douglas DC-8/62 della Braniff Intl. con la livrea colorata da Calder.

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Quando mi ritenevo un ragazzotto,dai 27 ai trent’anni credevo di avere scoperto un filone nuovo d’oro  andando a cercare di vendere tessuti nel lontano centro e sud-america,le Indie.In effetti il filone esisteva,eravamo pochissimi a frequentarlo,ma era difficile lavorarselo bene per mille ed una difficoltà, e ci voleva assiduità di presenza in quanto eravamo lontani e c’era il manana di mezzo,per cui ero sempre in groppa ad un aereo per stargli sotto.

Lo saprete meglio di me.Alle cose o ci stai sotto,se ci tieni a tirar fuori qualcosa, o si torna alla desertificazione abbandonando tutto.

Ora stiamo parlando degli anni da metà 1970 in avanti,ed a quei tempi volare per le Ande con le compagnie locali che usavano aerei residuati anche della nostra Alitalia, più che riempirmi di gioia mi mettevano il classico terrore addosso.In specie quando un aereo stra-usato accelerava per decollare da una pista posta a 2600 mt di altitudine e poi a tre quarti dall’avvio mollava tutto e si attaccava ai freni..cose che potevano succedere due volte nella stessa mattinata.

La unica mia via di scampo era di volare nord-americano in quanto gli USA mi ispiravano fiducia,una fiducia basata solo sui film western e della fama di cui si erano già circondati come abitanti della nuova frontiera.I duri per eccellenza.

Ad uno che è piuttosto molle fa piacere avere come capo..un duro..che è stato pilota militare in Korea o nei Marines.

Pertanto come mi avvicinavo in zona,iniziavo a volare con la Braniff,una compagnia texana già andata in fallimento da parecchi anni,ma che aveva un ottimo servizio da Miami ,per esempio,da New York,Dallas,Los Angeles e batteva ogni città del Sud America come fosse un taxi.

Avevano degli orari strani scendendo così lontano giù dal nord,tipo atterrare alle due del mattino a Guayaquil in Ecuador per arrivare a Santiago del Chile nella tarda mattinata facendo scalo anche a Lima,caricando e scaricando merci e passeggeri.

Erano orari che un viaggiatore normale avrebbe evitato,ma per me andavano benissimo,soprattutto se considerate che tutti i latino-americani hanno l’abitudine di segnarsi con la croce non appena il comandante dell’aereo dà manetta ed i motori salgono di giri per affrontare il decollo.

Era un segno della croce dietro l’altro..ma io per essere un segnor..non mi adeguavo perchè mi dava fastidio mescolare il sacro col profano.

Dopo cinque minuti mi facevo un whisky, e se necessario,anche due.

Ora Calder saltò fuori quando la Braniff decise di dare una mano di vernice agli aerei della sua flotta che di anni ne avevano parecchi già sul gobbo.

A me interessava poco nulla,anzi,prima erano a colori comunque ma in tinta unita,giallo,arancione,rosso,marrone,blu,poi si fecero appariscenti tramite Calder con queste livree che ,dirò, non m’impressionavano granchè.

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 In 1973, Alexander Calder was commissioned by Braniff to paint an aircraft. His contribution was a Douglas DC-8 known simply as “Flying Colors.” In 1975, it was showcased at the Paris Air Show in Paris, France. Its designs reflected the bright colors and simple designs of South America and Latin America, and was used mainly on South American flights. Later in 1975, he debuted “Flying Colors of the United States” to commemorate the Bicentennial of the United States. This time, the aircraft was a Boeing 727-200. First Lady Betty Ford dedicated “Flying Colors of the United States” in Washington, D.C.. Calder died in 1976 as he was finalizing a third livery, termed “Flying Colors of Mexico”; this livery was not used on any plane.(wikipedia)

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Se guardate all’esemplare in fotografia vedrete che il fondo è il giallo arancione precedente cui è stata data sopra una mano di bianco sulle ali ed altri colori come Calder li mise giù per questa circostanza.

Ho scoperto l’acqua calda?

Non lo sò,ma oggi visitando l’ARCA qui a Vercelli dove c’erano parecchie opere di Calder astratto per eccellenza con le sue sculture volanti non sono riuscito a far a meno di pensare a come ci fossimo incontrati.

La Braniff fallì sull’onda della deregulation,ma lasciò un ricordo incancellabile tra i viaggiatori che le sopravvissero.

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I giganti dell’Avanguardia: Miró, Mondrian, Calder e le Collezioni Guggenheim

Vercelli, Arca, chiesa San Marco 3 Marzo – 10 giugno 2012

http://www.eventiesagre.it/Eventi_Mostre/21066781_I+Giganti+Dell+Avanguardia.html

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I giganti dell’Avanguardia: Miró, Mondrian, Calder e le Collezioni Guggenheim, ospitata dal 3 marzo al 10 giugno da Arca a Vercelli, è la quinta esposizione del fortunato ciclo ideato e curato da Luca Massimo Barbero per il Comune di Vercelli. Con circa quaranta opere, tra dipinti e sculture, tutte sceltissime, che ricostruiscono in modo puntuale l’arco cronologico della carriera dei tre artisti, l’esposizione ripercorre, dagli esordi alla celebrità, la carriera artistica dei giganti dell’avanguardia, Miró, Mondrian, Calder, appunto. I Guggenheim, si sa, sono stati esempio di collezionismo lungimirante delle avanguardie. Peggy e Solomon hanno scommesso su artisti che sono diventati pietre miliari della storia dell’arte del Novecento, collezionando opere che rappresentano oggi a tutti gli effetti le “radici” da cui sono nati i protagonisti dell’arte del XX secolo. Miró, Mondrian, Calder, i tre grandi maestri proposti da questa mostra, emergono in maniera prominente dalle loro collezioni . I tre incarnano, a tutti gli effetti, uno dei paradigmi dell’avanguardia del XX secolo: Joan Miró con il suo poetico Surrealismo da una parte, Piet Mondrian con la pura astrazione dall’altra, e la scultura di Alexander Calder, con le sue componenti surrealiste e astratte, entrambe riflesso dell’immaginario artistico dei due pittori, al centro. La mostra è arricchita di prestiti provenienti dalla Calder Foundation di New York, dal Gemeentemuseum dell’Aja, dal Museo Civico di Spoleto, oltre che dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim. Dall’incontro e dall’intreccio delle opere di queste grandi personalità, nasce una occasione unica per poter ritrovare i vertici della fantasia poetica che ha percorso il XX secolo. Riuniti per la prima volta a Vercelli saranno i tre grandi maestri della ricercatezza visiva e della giocosità immaginifica Joan Miró (1893-1983), nasce a Barcellona, in Spagna, ed rappresenta uno dei capisaldi del Surrealismo. André Breton, fondatore del movimento, lo definì “il più surrealista di noi tutti”, mentre secondo William S. Rubin “era senza dubbio il più raffinato pittore ad aver aderito al Surrealismo”. Dal 1924 al 1929 è tra i principali protagonisti di quella linea simbolica del Surrealismo che sviluppa l’elaborazione d’immagini stilizzate, sospese, spesso tradotte in segni e figurazioni astratte, e che tende a ricondurre questa apparenza di astrazione ad una propria origine reale, come da egli stesso affermato: “Per me una forma non è mai qualcosa di astratto, ma è sempre segno di qualcosa. È sempre un uomo, un uccello, o qualcos’altro. Per me la pittura non è mai forma in sé”. Nel 1942 espone nella galleria newyorkese di Peggy Art of This Century, luogo-simbolo del debutto americano della collezione d’arte europea contemporanea della mecenate, accanto ai gradi esponenti del Surrealismo, come Jean Arp, Max Ernst, René Magritte. “Il grande pittore che riesce a costruire un dipinto con pochi tratti scuri, con pochi toni squillanti, anche in assenza di ogni pretesto figurativo e di ogni compiacimento caricaturale”, così Gillo Dorfles scrive dell’artista spagnolo nel 1954, quando gli viene conferito il premio per la grafica alla Biennale di Venezia. Tra liquide campiture e personaggi fluttuanti, il suo linguaggio diviene da subito il punto di riferimento per le generazioni successive, portandolo ad essere considerato oggi anche dal grande pubblico uno dei protagonisti indiscussi del XX secolo. La mostra di Vercelli rappresenta inoltre un’occasione unica che vede riunite tutte insieme, per la prima volta al di fuori delle “mura veneziane”, le preziose opere dell’artista spagnolo, amate e collezionate da Peggy. L’astrazione nell’arte figurativa, che tanto influenzò sia Miró che Calder, è strettamente legata al nome di Piet Mondrian (1872-1944), nato ad Amersfoort, in Olanda. Membro fondatore del movimento del De Stijl nel 1917, Mondrian è tra massimi protagonisti e pensatori delle ricerche astratte della prima metà del XX secolo. Di lui Solomon e Peggy acquisirono diverse opere ripercorrendone il percorso artistico, dalla figurazione all’estremo astrattismo. Se condivide con Kandinsky l’idea di un fondamento spirituale e metafisico della creazione artistica, Mondrian persegue la costruzione di un linguaggio che traduce l’espressione lirica soggettiva nella griglia di un ordine cosmico, nel tentativo di rendere visibile questa relazione tra libertà dell’individuo e determinazione dell’universo. Dà così origine ad un personalissimo stile astratto neoplastico, in cui ciascun elemento figurativo è ridotto alle direttrici verticali e orizzontali a cui è possibile ricondurre ogni struttura naturale. In questa griglia sono inserite campiture riempite dai colori primari blu, giallo e rosso. Ne nasce un mondo pittorico rigoroso e libero insieme, che dà immagine alle dinamiche dell’universo, dal micro al macrocosmo. Mondrian trascorre la sua esistenza tra l’Olanda, Parigi, Londra e New York, dove si trasferisce nel 1940, aderendo al gruppo degli American Abstract Artists, e dove il ritmo e l’euforia della vita cittadina hanno un impatto significativo sulla sua tarda produzione. Peggy e Mondrian si conoscono in Inghilterra nel 1938 e rimarranno amici fino alla scomparsa dell’artista nel 1944. Nel 1971 il museo Solomon R. Guggenheim di New York gli ha dedicato un’importante retrospettiva per celebrarne il centenario della nascita, confermando il ruolo centrale svolto dall’artista nella storia dell’astrazione. Alexander Calder (1898-1976), nato a Lawnton, in Pennsylvania, è stato “il primo americano del XX secolo a guadagnarsi una reputazione europea” (George Heard Hamilton). Nel 1926 si trova a Parigi e qui diventa presto amico di Miró, con cui condivide il suo formale senso dell’umorismo, la predisposizione per le forme di carattere vegetale, e per linee espressive che creano forme ricorrenti nello spazio. Una sua visita nello studio di Mondrian suscita un forte impatto sulla sua arte, come l’artista olandese anche Calder si limita all’utilizzo dei colori primari e compone utilizzando linee e piani. Calder sviluppa questo linguaggio visivo in tre dimensioni, e dai primi anni ’30, con i suoi “mobiles”, permette alle sue sculture sospese di muoversi nello spazio. I suoi primi ritratti e le sue sculture sospese vengono chiamati mobiles da Marcel Duchamp per il loro lento e costante movimento. La mostra di Vercelli presenta l’intero repertorio artistico di Calder: Mobiles e Stabiles (sculture che poggiano a terra), sculture da tavolo costituite da parti mobili, ritratti realizzati con il fil di ferro, opere da parete (Costellazioni, titolo che rimanda all’opera di Miró), gioielli e dipinti su carta. Peggy e Solomon instaurarono una duratura amicizia con Calder, riconoscendo la carica innovatrice della sua concezione del fare scultura. Peggy indossa un orecchino creato da Calder in occasione dell’apertura della sua galleria-museo Art of This Century nel 1942, e successivamente gli commissiona la testiera del letto. Scrive la collezionista nella sua autobiografia: “Non solo sono l’unica donna al mondo a dormire in un letto di Calder, ma anche l’unica donna ad indossare i suoi enormi orecchini mobiles”. Entrambe i lavori saranno esposti a Vercelli. La padronanza della meccanica (Calder fece studi di ingegneria), lo stupore per il movimento dei corpi celesti, l’infantile amore per il mondo circense sono tra i principali elementi che hanno dato vita alle imprevedibili e fluttuanti sculture sospese di Calder.


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