Eppure -come spiega il vescovo Luigi Negri in "False accuse alla Chiesa" (Piemme 1997)-, nonostante questo i monaci nel VI e VII secolo hanno incominciato a leggere ed interpretare, dal punto di vista della certezza della fede, tutto quello che la tradizione precristiana aveva realizzato, nel tentativo di impostare il problema del significato della vita attraverso le forme dell'arte, della religione e della filosofia. Così, nel voler interpretare unitariamente la realtà, sono nate le scuole, prima attorno ai conventi e poi alle cattedrali, fino alla fioritura della cultura nelle università ( universitas), luogo in cui la roccia della fede divenne criterio per interpretare tutto lo scibile. Tutto questo è stato ripreso e approfondito in questo interessante articolo di Rèmi Brague, docente di Filosofia all'Università Panthéon-Sorbonne di Parigi e all'Università Ludwig-Maxmillians di Monaco (il quale ridimensiona anche il contributo islamico).
Su "Il Corriere della Sera" pochi giorni fa la questione è stata nuovamente ripresa dal filosofo Marco Rizzi, il quale ha sottolineato giustamente come la filosofia cristiana sia figlia di quella greca, aristotelica, da cui prese fondamentale ispirazione. Anche se è chiaro come "alle soglie del V secolo la letteratura dei cristiani non avesse ormai più alcun complesso di inferiorità nei confronti di quella classica; anzi, con questa si vuole confrontare sul piano della forma e dello stile, sia pure privilegiando l'esigenza di comunicare e insegnare a tutti, non più solo ad una ristretta élite". Non a caso, continua Rizzi, "san Girolamo fu autore di una raccolta di biografie di scrittori cristiani illustri, programmaticamente contrapposti a quelli pagani, greci e latini". La rivoluzione culturale cristiana cominciò comunque ben prima: "Sin dal II secolo i cristiani non avevano esitato ad inserirsi nel contesto comunicativo del mondo antico; se autori come Tertulliano proclamavano orgogliosamente la loro estraneità ad una cultura in declino, lo facevano pur sempre secondo i canoni della più avvertita retorica e con una strumentazione concettuale debitrice della tradizione filosofica. Proprio con la filosofia il cristianesimo stabilì un rapporto decisivo [...]. Cristo venne presentato come il maestro universale e la sua rivelazione come la "vera filosofia", che riassumeva in sé non solo i contenuti dispersi nelle precedenti tradizioni, ma anche gli exempla morali delle grandi figure del passato, Socrate più di ogni altro".
Grazie al cristianesimo e ai pensatori cristiani, la cultura classica è rinata: "non solo i modi, bensì anche i grandi temi della filosofia antica si sono piegati a nuovi significati, e in questo modo si sono conservati e sono pervenuti ai nostri giorni. Il caso più celebre è quello del "Logos", il "Verbum", che dai filosofi stoici, attraverso il prologo del Vangelo di Giovanni, Giustino, Agostino e molti altri è giunto sino alle riflessioni di Benedetto XVI su fede e ragione del celebre discorso di Ratisbona del 2006, in cui il pontefice individua come intrinsecamente necessitato l'incontro tra il cristianesimo e la razionalità greca". Vengono nobilitati, rivisti e nuovamente sviluppati i pensieri di Platone e Cicerone, rilanciandoli in una chiave totalmente nuova e forse più efficace per l'uomo, ponendo sempre "il Dio cristiano a fondamento di ogni rapporto autentico tra gli uomini, superando così la frattura - drammaticamente avvertita da Cicerone - tra determinazioni della ragione politica ed esigenze dell'animo individuale".
I primi pensatori cristiani, conclude Rizzi, "divennero a loro volta oggetto di traduzioni e di rielaborazioni da parte di scrittori che, dal IV secolo in poi, presero ad esprimersi in una varietà di lingue (copto, siriaco, armeno, georgiano...) sino ad allora prive di dignità letteraria, dando origine a nuove culture e a nuove identità socio-religiose nel segno del cristianesimo e confermando così che la natura di quest'ultimo è intrinsecamente aperta all'incontro con le più diverse esperienze dell'uomo".