C’è vento, oggi, il cielo è terso e le chiome degli alberi, ancora adorne di foglie che non si decidono ad ingiallire in questo autunno così poco autunnale, ondeggiano frusciando percosse con violenza dalle raffiche che hanno iniziato a soffiare inaspettatamente nella notte.
Le prime foglie secche, però, si sono già staccate, primizia della stagione, e volano danzando nell’aria portate da misteriose correnti che le innalzano da terra, le fanno cadere a spirale, le costringono in infinite, impensabili traiettorie, le allontanano dal ramo al quale, fino a poco fa, aderivano legate da una forza sottile come una tela di ragno.
Tornando a casa le ritrovo tutte lì, ammucchiate in un angolo di quiete tra il muro ed il cancello dove ad una ad una sono arrivate da molti luoghi e da molti rami e dove, grazie alla calma del vento che non riesce ad insinuarsi nello spazio ristretto, sembrano riposare esauste per il lungo cammino.
E mi vien da pensare che anche per noi esseri umani è un po’ la stessa cosa: il vento ci trascina per strade impensate, lunghe o brevi, tormentate o serene, ma ci ritroviamo poi in alcuni spazi che sono gli stessi per tutti noi e ci posiamo come per cercare conforto.
Sono gli angoli di quiete dopo i percorsi di gioie e di dolori e tutti noi, prima o poi, approdiamo ad un attimo di serenità dove il vento della vita non può insinuarsi.
Poi basta un soffio un po’ più deciso e la danza ricomincia.