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Come nasce una foto #6: Il “Fato Nero” delle Alpi Apuane

Da Ragdoll @FotoComeFare

Come nasce una foto #6: Il “Fato Nero” delle Alpi Apuane

Adoro la montagna: trovo il silenzio e il tempo assume una dimensione naturale, il ritmo lo dettano piedi e fiato, il carico che hai sulla schiena, le ore di cammino, il meteo.

Qui siamo sul versante delle Alpi Apuane che guarda alla Garfagnana, a pochissimi chilometri in linea d’aria c’è il mare della Versilia

Appena vedo questa immagine penso all’inizio di quella giornata: ero partito da solo dal fondovalle camminando le prime ore al buio. E’ un’esperienza unica (da provare con molta attenzione!), che regala una sintonia con l’ambiente interessantissima per il fotografo. E’ come se la capacità di percezione si alzasse e il risultato è una  sensazione di grande completezza: una volta sulla cresta, dopo aver camminato per ore sulla neve fresca, questo stato “propedeutico” è raggiunto non “nonostante” ma proprio grazie alla fatica e alla condizione di relativa difficoltà in cui ti sei cacciato.

Insommma, sveglia alle tre, poi auto, quindi pila frontale in testa e temperatura sottozero, solo come un poveraccio… si dice che tutto questo sia dovuto alla ricerca della luce migliore: io dico che è una scusa per “entrare” nel paesaggio anzichè esserne elemento esterno, un disturbatore a caccia di immagini da riporto.

I due alberi a sinistra sono nella zona carsica in cui si trovano le “marmitte dei giganti”, mentre i segni che sembrano imbuti nella neve spesso indicano colatoi e cavità molto pericolose (le Apuane vantano alcuni degli abissi più profondi al mondo). Il bosco di faggi che si vede nella parte alta dell’inquadratura si chiama Fato Nero, richiama storie  e leggende oscure ma il paesaggio che si gode qui è tutt’altro che angoscioso.

Stavo salendo sul Monte Sumbra, la roccia grigia fa parte della parete sud, 500 metri tutti verticali: uscendo da un boschetto su una cresta si gode la prima vista della parete. Immediatamente sono stato colpito dai due alberelli isolati nella neve, la composizione è “obbligata”: ho dato molta importanza alla neve morbida che circonda il soggetto principale ma ho spostato tutta l’inquadratura verso destra per includere il grigio con la sua linea diagonale.

Dal punto di vista tecnico, nulla di importante da segnalare: macchina su cavalletto e diaframma f/13 per una buona profondità di campo. Lo scatto è eseguito con il Canon 100-400 impostato a 200mm.  Volevo mantenere questa sensazione di imponenzadella rocciache contrasta con la neve molto fresca, come un’onda  che muove la superfice. Mi piaceva il fatto che le due linee evidenti che dividono l’immagine partissero quasi insieme dalla parte superiore dell’inquadratura: ho fatto in modo di evidenziarlo, “chiudendole” nell’angolo alto destro.

In ogni immagine quello che escludiamo è decisivo quanto quello che scegliamo di farci entrare: qui, sulla destra c’è tutta l’imponente parete sud che ho deciso di tagliare per dare importanza  al soggetto principale. Allo stesso modo, verso l’alto, il bosco è molto ampio e, sopra, si staglia il Monte Fiocca: alzare l’inquadratura e “vedere” il profilo del monte avrebbe spostato l’attenzione e fatto diventare l’immagine una semplice veduta panoramica. Ovviamente ho poi scattato altre immagini, ma questa è la prima che ho “visto” e per me ha molta importanza la geometria della scena.

Sembra un’immagine in bianco e nero per la quasi assenza di colori, la passione poi per il colore non troppo carico accentua il “problema”: ho leggermente abbassato la saturazione generale e regolato i livelli, infine ho applicato un po’ di maschera di contrasto per correggere la morbidezza data dal filtro anti-aliasing (operazione sempre obbligatoria con il digitale!).

Sono molto legato a questo luogo e corro il rischio  di vedere troppo bello questo mio “scarraffone”. Allora lancio un…sondaggio: cosa, secondo te, distingue una qualsiasi foto ricordo da una buona fotografia di paesaggio?


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