Marco Agnelli (no, non è parente) è impiegato presso una sede periferica del Banco d’Istria, ha 36 anni, vive a Roma e sabato scorso è tornato entusiasta dall’ultimo raduno Harley D. in Croazia. Marco è sposato con Anna, commessa presso un negozio di abbigliamento da donna, e hanno un bambino di nome Arturo che mangia pizza con la stessa disinvoltura con cui Pac-Man mangia le palline gialle. Marco, sta delicatamente leccando il lato adesivo della cartina piena di tabacco ma non sa che di lì a poco, in un pomeriggio qualunque, davanti alla nuova locandina di Elephant Man del Cinema Bristol, un bambino di dieci anni sta per saltare a piedi uniti su un rastrello indirizzato dritto dritto tra le sue gambe.
«Papà?»
«Eh!»
«Come nascono i bambini?»
Ahia! E’ statisticamente provato: un uomo medio preferirebbe rinunciare ai posti in tribuna della finale di Coppa Campioni della propria squadra, pur di non provare – neanche per un istante - il sottile imbarazzo che accompagna puntualmente la nota interrogativa al termine di quella (prima o poi) prevedibile domanda. Possibile che ad oggi, dopo aver conquistato la luna e aver fatto il giro del mondo in pedalò, l’uomo non sia riuscito a inventare un modo, magari un chip da innestare sotto pelle, per dare una risposta sensata a questa domanda senza passare per i padri?
«Come nascono i bambini, vuoi sapere?»
«Sì».
Nessuna esitazione nel tono di voce di Arturo. Il dado è tratto. La sicura della bomba è stata rimossa. La pallina di neve sta ruzzolando spensierata a valle, ignara della sua prossima trasformazione in enorme slavina. Non esistono scuse tanto soddisfacenti da riuscire a distrarre questa irresistibile curiosità. Lo vuoi un bel trenino elettrico? No, come nascono i bambini? Magari una macchinina da collezione? No, come nascono i bambini? E l’autografo di Bruno Conti? No.
«Arturo, papà ha avuto una settimana complicata in ufficio e poi fa troppo caldo per parlare, quando potremmo andarcene a prendere un bel gelato e poi a giocare a pallone e poi… e poi perché non lo chiedi a tua madre?»
«Lei mi ha detto di chiederlo a te».
«Ah».
Siamo sinceri, non siamo tutti uguali. Ci sono genitori dalla mentalità “avanti” che a suo tempo hanno spiegato la questione in maniera semplice e chiara, maturando dei figli che a loro volta ne sono usciti con scioltezza. E poi ci sono uomini come Marco e tanti altri, provenienti da famiglie per così dire “conservatrici”, che hanno ricevuto in risposta le spiegazioni più inverosimili in assoluto e per questo sono cresciuti mentalmente handicappati. Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che in quel pomeriggio d’agosto, c’è un sole che picchia come un’amante tradita, la frittata è bell’e cotta.
«Ah, così ti ha detto la mamma?»
«Sì».
«E io te lo spiego, che sarà mai? Allora guarda, ci sono le api che…»
«… che vanno sui fiori. Lo so già. Poi c’è la cicogna e il cavolo. Voglio sapere come nascono i bambini, altrimenti ti avrei chiesto di fare una scampagnata».
Ecco. E’ in questi momenti, quando sei alle corde e l’avversario ti martella con dei micidiali ganci al fianco, che cominci a porti le domande più assurde e chiedi certezze sulla reale paternità di tuo figlio, sul perché del gol annullato a Turone in Juve-Roma a fine campionato, sulle possibilità di reincarnarsi in Julio Iglesias dopo il trapasso e dall’alto guardi sofferente i tuoi pantaloni a zampa mentre la camicia coloratissima a fiori giganti comincia ad appiccicarsi sotto le ascelle.
«Hai ragione. Quelle sono storie da bambini e tu ormai sei grande. Vedi, i bambini nascono… nascono in maniera assurda, quasi magica, e in molti si chiedono ancora come facciano a nascere i bambini e quando io e la mamma decidemmo di avere te… vedi, fu molto complicato perché per avere un bambino al giorno d’oggi è difficile, è necessario fare richiesta al ministero e poi all’ufficio rilascio bambini, che non ricordo neanche se è aperto nei giorni festivi, ed è una trafila lunghissima, ci vogliono circa nove mesi prima che concedano il visto e… parliamoci chiaro, la burocrazia in Italia è diventata qualcosa di vergognoso ma non è colpa mia se in questo paese si continua a votare i democristiani e se poi non consolidiamo un sentimento civico comune è normale che poi ci troviamo in una situazione come questa e non ne usciremo più se…»
«Papà?»
«Eh?»
«Non sto capendo».
Non.
Sta.
Capendo.
Neanche una moglie con le sue contorsioni cerebrali riuscirebbe a capire un discorso del genere. Peccato però che le mogli si dividano in due grandi categorie: quella che t’infila la chiave nella toppa di casa una domenica pomeriggio quando la credi al cinema con le amiche e quella che quando ti serve non la trovi neanche se le intesti il tuo conto in banca. Perché, di fondo, il problema non è che il bambino non riesca a capire ma in quale cazzo di negozio di scarpe si sia infilata la madre mentre qui è Caporetto.
«Lo so, è un po’ complicato, questa però è solo una breve introduzione ma se vuoi la salto».
«Saltala, è meglio».
«Bene. Allora andiamo al dunque. Per fare un bambino ci vogliono almeno due persone: un maschio e una femmina. E fin qui… Ora, queste due persone si devono conoscere e devono volersi bene e…»
«Quindi anch’io e Barzaghi Silvia possiamo fare un bambino».
«No, tu e Barzaghi Silvia non li sapete fare e poi siete troppo piccoli ma quando diventerai più grande conoscerai tante ragazze e poi ne sceglierai una, quella che ti piace di più e... e quando vi vorrete bene, parecchio bene, la sua pancia si gonfierà e il bambino uscirà da lì così come sei uscito tu da quella della mamma e...»
«Sì, ma come ci sono finito io nella sua pancia?»
In questo preciso istante nel mondo si stanno concludendo transazioni per miliardi, ci sono studiosi che stanno trovando rimedio alle malattie più mortali, ci sono staff di diplomatici che stanno lavorando per impedire una nuova guerra mondiale e tu hai appena infilato due filtri in entrambi i lati della tua sigaretta fatta a mano e ancora non hai dato una risposta sensata a questa domanda. Dai, digli la verità. Diglielo che non lo sai.
«Beh, nella pancia della mamma ti c’ho messo io».
«Sì? E come?»
Grande! Se sul Devoto-Oli ci fosse un’immagine accanto alla parola “incartarsi”, ci sarebbe quella di Marco Agnelli (no, non è parente) con lo sguardo rivolto verso le nuvole, perpendicolare alle lunghe basette nere, mentre i folti baffi si adattano alla bocca aperta, quasi a pronunciare una “O” prolungata e ovale.
«Hai vinto tu. Se quando torniamo a casa te lo fai spiegare da mamma, per il compleanno ti compro il costume di Spider-Man».
«Anche il quartier generale di Big Jim?»
«Sì. Anche il quartier generale di Big Jim, promesso».
«Papà?»
«Ma che t’ho fatto?»
«Mamma me l’aveva già spiegato come nascono i bambini».
«Ma…»
«Volevo vedere come te la cavavi».
«Brutto str…»
«E ringrazia il cielo che non ti ho chiesto cosa sono i preservativi».