A chi di noi non è capitato almeno una volta di aver avuto un’allucinazione? Intendendo per allucinazione il credere fortemente di aver visto un qualcosa, o comunque l’avere la percezione di un soggetto che in realtà non esiste perchè non ne esiste lo stimolo esterno che l’ha definito.
Secondo i ricercatori delle Università di Cardiff e Cambridge in Gran Bretagna, alle origini dell’avere un’allucinazione c’è un’attività del cervello che tende, per natura, ad interpretare la realtà circostante e a colmare dei “vuoti” possibili con le nostre conoscenze ed esperienze pregresse. E così una semplice luce o un bagliore si possono trasformare in un attimo in un ladro o in un gatto, rendendo reale ciò che di fatto non lo è.
Lo studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences ha coinvolto più di 30 individui, dei quali 16 sostanzialmente “sani” e 18 con una particolare tendenza nel soffrire di allucinazioni. A tutti i partecipanti della ricerca è stato richiesto di interpretare delle immagini (in bianco e nero) composte da linee e forme del tutto indefinite.
Dai dati raccolti, i soggetti con tendenze allucinatorie, a differenza dei volontari “sani”, hanno riconosciuto dei soggetti nelle foto. I risultati ottenuti dalla ricerca confermano, quindi, una particolare attività del cervello negli individui predisposti, che ha il compito di definire un senso se a confronto con stimoli del tutto privi di significato.
Questo tipo di atteggiamento, secondo i ricercatori, non è comunque sintomo di un «cervello “rotto”, ma di un cervello che sta tentando, in modo molto naturale, di dare un senso a dati ambigui» e risulta, ad oggi, un’attitudine condivisibile da un’ampia fetta della popolazione. Anche se l’input sensoriale è minimo, concludono gli esperti, è sempre il bagaglio di conoscenze pregresse ad andare a colmare i punti mancanti e a “creare” il soggetto.