di Matteo Capaia
Dopo circa un mese di scatti felici, durante un giro esplorativo con la mia amata due e mezzo, due foto uscite in sequenza, completamente scure, mi hanno fatto presagire che alla macchina fosse capitato un problema molto serio.
Sudori freddi.
Non sentivo più scattare l’otturatore secondario.
In mezzo a un gruppo di curiosi, con qualche parolaccia di troppo, ho cambiato le batterie e ho tentato una prima disperata rianimazione ; niente, la macchina era silente, possibile che fosse morta dopo così poco tempo passato insieme?
Con tutta la fatica che avevo fatto per averla e per rimetterla in sesto.
Colto da un picco di rabbia, pensavo di finirla con un glorioso lancio dall’alto dei trenta metri del ponte monumentale, ma visto la distanza dal ponte, camminando, mi sono calmato e non rassegnandomi all’idea di perderla, ho deciso di riportarla a casa per operarla d’urgenza.
Dovevo, purtroppo, smontare la macchina e vedere cosa diavolo fosse successo.
L’otturatore secondario non dava più segni di vita e ciò poteva dipendere principalmente da tre cose:
1) era un problema elettrico, non arrivava corrente al circuito
2) era un problema meccanico, tipico degli over-quaranta
3) come C. Bukowsky, tutto era andato a puttane.
Dopo aver messo insieme il kit del “piccolo perito atomico”, ho preparato un incasinatissimo tavolo operatorio e ho messo mani nell’ignoto.
Strumenti del mestiere
Smantellare la testa della macchina è stato facile, così come per Mickey Rourke costruire una batteria atomica a fusione fredda in cantina.
Prima di tutto, dopo aver esteso il corpo macchina, della serie: “stenditi amore, non ti farò male”, ho tranciato il cavo di alimentazione alla sinistra del soffietto.
Visto che non volevo assolutamente staccare il delicato soffietto dalla macchina (con il rischio di sbriciolarlo), per disassemblare il blocco otturatore, ho solo mollato il bullone inferiore e la vite del meccanismo estensibile, (occhio alla molla) , in modo tale, da poter orientare il blocco, insieme al soffietto, nella direzione del cacciavite.
Successivamente, ho rimosso dalla sede il cavo scatto e ho sfilato il perno del telaietto pieghevole.
NOTA BENE: Con un pennarello, ho fatto un segno sul cavo flessibile, per ricordarmi l’esatta lunghezza del segmento di cavo che avrei dovuto, a operazione finita, infilare nuovamente in sede.
Una lunghezza sbagliata, infatti, non permette la giusta tolleranza necessaria ad azionare un dentino interno che fa scattare la leva di scatto interna dell’otturatore.
Rimozione del fermo per il cavo scatto flessibile (occhio al segno rosso) e del perno soprastante.
Rimosse altre tre viti del blocco posteriore,ho tirato via la faccia della fotocamera (a cui è avvitato il circuito elettronico), accompagnando il cavo di alimentazione fuori dall’occhiello guida del soffietto e dal buco posto nello scudo.
Pannello anteriore del blocco otturatore, disassemblato dal circuito dell'otturatore e meccanismi interni di compensazione dell'esposizione
Circuito dell'otturatore appoggiato al pannello interno del blocco (notare la data di produzione 2-67!)
Una volta visto il circuito stampato, ho apprezzato la bontà della meccanica interna e l’apparente semplicità del progetto.
Faccia anteriore del circuito otturatore
Faccia posteriore del circuito, viteria ed elettromeccanica degli otturatori
Era tutto come nuovo, le molle, i leveraggi e i vari switch elettrici erano perfettamente funzionanti e precisi; l’unico segno del tempo era riscontabile nell’invecchimento del film protettivo del circuito stampato, visibile in una patina biancastra screpolata; poca roba, comunque non vi erano segni di bruciature da corto-circuito, come temevo di scorgere. Buon segno.
Avendo a disposizione il circuito in bella vista, ho preso nota dei componenti elettronici, resistenze, condensatore, diodi e transistor, in modo da sostituirli, se necessario.
Dopo aver dato alimentazione al circuito, tramite le estremità dei cavi tagliati in precedenza, con il tester, ho controllato che la corrente passasse in ogni punto di saldatura del circuito stampato.
Tutti i componenti erano integri, la corrente elettrica scorreva ininterrotta in tutti i punti (facendo un ponte elettrico, ho controllato anche quelli del percorso Flash), tranne in uno.
Era il circuito dell’otturatore secondario.
Infatti, caricando l’otturatore e facendolo scattare, la lamella dell’otturatore secondario non sembrava reagire; seguiva il fratello maggiore senza discutere, senza dirgli “aspetta un attimo che deve passare più luce! Me l’ha detto quel secchione del Diodo!”.
Dopo alcuni minuti di elucubrazioni mentali, caffè, pane e nutella, ho realizzato che per dare continuità al circuito, cioè per far passare la corrente in quel punto, dovevo azionare la leva di scatto continuando a tenerla premuta come se dovessi prendere un’esposizione!
Dopo aver capito un semplice meccanismo, con una punta di plastica ho tenuto premuta la levetta interna ed è partito l’otturatore primario, seguito dopo qualche secondo, da quello secondario.
Con immenso sollievo, la macchina non era morta!
In questo modo, ho capito come funziona il circuito di scatto; dopo aver caricato l’otturatore, una piccola elettro-calamita viene a contatto con l’otturatore a lamella secondario, che ha un’estremità metallica coincidente con il magnete.
Una volta premuto il pulsante di scatto, per il tempo necessario, il dente di plastica interno al blocco, mantiene unite due lamelle che alimentano il circuito temporizzato che comanda a sua volta la calamita.
Dente di plastica e vista della lente interna
Otturatori rilasciati dopo lo scatto
La corrente elettrica arriva alla fotocellula dell’occhio elettronico (foto-diodo o santo-diodo, a seconda dei casi), dopodichè, tramite un circuito temporizzato a Cù-Cù (comandato da un semplice transistor), la giusta quantità di corrente (proporzionale ai giusti EV di esposizione) toglie alimentazione all’elettro-calamita e viene rilasciato l’otturatore secondario!
Con un riff di Jimmy Hendrix in testa, ho capito dove fosse il problema!
E io che pensavo di dover ricostruire faticosamente il circuito stampato, smontando la radio a transistor della nonna.
Il casino era tutto a monte.
Eppure avevo controllato con il tester i cavi di alimentazione nel comparto batterie; l’interruzione della linea doveva essere tra le batterie e i cavi di alimentazione.
Il problema era proprio lì, a furia di aprire e chiudere lo sportello, con la modifica volante ai porta-batterie AAA, avevo probabilmente schiacciato i fili elettrici e si era spezzata una porzione interna del cavetto negativo, saldato al supporto della batteria originale.
Siccome lo spazio disponibile nel vano è risicato, invece di ricostruire il collegamento originale (peraltro ridondante alla nuova modifica), ho semplicemente rimosso un piccolo supporto di plastica, tenuto insieme al corpo con una piccola vite e ho saldato il terminale negativo delle batterie, direttamente sul cavo di alimentazione.
ulteriore modifica al vano batterie
Avendo tranciato il cavo di alimentazione, ho pensato che fosse comodo ricollegarlo tramite due spinotti fast, in modo tale da poter staccare il circuito batterie nel caso dovessi smontare nuovamente la macchina.
nuovo cablaggio di alimentazione
Approfittando della fotocamera aperta, ho pulito accuratamente la faccia interna delle lenti, il vetro dell’occhio elettronico e i contatti elettrici, soprattutto quelli attorno all’otturatore e all’elettro-calamita.
Successivamente, ho lubrificato con un cotton-fioc imbevuto di WD-40, tutti i leveraggi dell’otturatore, controllando la corretta tensione delle due molle, quella di carica e quella di rilascio.
Già che c’ero, con l’aria compressa, oltre a far spaventare il gatto, ho rimosso più di trent’anni di polvere e sporcizia accumulatasi all’interno del blocco otturatore.
In pochi minuti era tutto ritornato alle condizioni di fabbrica.
Come ultima operazione, ho saldato al circuito elettrico, i nuovi terminali di alimentazione e anche un pezzo di dito (un dolore assurdo), proteggendoli da eventuali corto-circuiti con una nuova protezione in nastro isolante, coprente quella originale.
Nuovi cavi di alimentazione e nuova protezione circuito
Dopo aver testato con successo la macchina, riassemblata provvisoriamente, ho completato il montaggio, serrando definitivamente tutte le viti e curando gli accoppiamenti.
Anche il soffietto che necessitava di una piccola riparazione.
In un altro post si può notare una foto dove compare un alone bianco sopra la mia figura; pensavo fosse un difetto del film, invece la macchia era dovuta alla luce entrante dal foro microscopico, un effetto stenopeico non voluto!
Del semplice nastro isolante nero, si è adattato perfettamente alle pieghe del soffietto, rendendosi quasi invisibile.
Finito.
Pause, intoppi e imprecazioni permettendo, l’operazione è durata non più di una giornata, pensavo peggio.
Se avessi pensato, al tempo della modifica, a sistemare meglio il pacco batterie, probabilmente non si sarebbe rotto nulla, ma al tempo stesso, non mi sarei mai avventurato nell’operazione di aprire una fotocamera vecchia di quarant’anni, solo per il gusto di capirne il funzionamento!
E’ stata una esperienza molto interessante; ne ho tratto delle nozioni utili, che magari sfrutterò più avanti per concretizzare alcune idee che mi ronzano in testa, tipo, alcuni trapianti di organo (fotografici intendo).
Tirata a lucido, le ho regalato nuove batterie e un nuovo pack-film ed esibita per le vie del centro, ha ripreso a scattare fotografie, addirittura meglio di prima.
Il platano, Polaroid type 100 Chocolate, scaduta
Fortunatamente, non tutte le complicazioni vengono per nuocere.
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