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Siamo in Afghanistan, in un paese imprecisato arroccato su una montagna, certamente in una zona di guerra.
Intorno è tutto miseria, distruzione, paura e morte. Ogni tanto qualche "cessate le armi" consente ai bambini di tornare a giocare per le strade e alle donne, completamente coperte dai loro burqa, di uscire a fare la spesa.
La nostra protagonista è una giovane moglie che vive in una casa spoglia e povera, ma dignitosa, con le sue due figlie e il marito, un combattente che a seguito di una rissa si ritrova in coma.
La donna lo accudisce e riempie il vuoto e la paura con le parole e i pensieri, in un fluire ininterrotto di ricordi, rivelazioni, sentimenti.
In questa situazione surreale, in cui si è al contempo soli con se stessi, ma si ha anche un testimone muto e sordo alle proprie confessioni, la donna prende lentamente coscienza di sé, o meglio ha finalmente la possibilità di far emergere se stessa come persona, con i propri desideri, segreti, aspirazioni, pulsioni.
Smette di essere un oggetto da utilizzare come merce di scambio, un pezzo di carne per dare una prole al marito, un essere senza volto e senza volontà nell'assetto familiare e sociale, per mostrare invece una ricchezza di pensieri, una varietà di sfumature (straordinariamente incarnate nel volto della bellissima Golshifteh Farahani), una complessità di stati d'animo, un conflitto interiore che travalicano i confini geografici e culturali, ma risultano profondamente dirompenti in una società come quella afghana.
Il percorso di affrancamento personale troverà ulteriore espressione nel rapporto con un giovane soldato che prima la violenta, poi si rivela altrettanto, anzi più fragile della donna, al punto da lasciarsi guidare da lei nella scoperta della sessualità e forse dell'amore.
Tutto questo sotto gli occhi spenti del marito che, come la pietra paziente della storia raccontata alla nostra protagonista dalla zia, assorbe tutti i segreti e le confessioni fino a frantumarsi in mille pezzi quando il processo di liberazione raggiunge il suo apice.
Sì, perché solo la catarsi finale consente di spezzare le catene della propria prigionia e di dare spazio a quella bellezza che trova espressione esteriore nella scelta di truccarsi ed interiore nel sorriso che le compare sul volto.
Atiq Rahimi realizza un grande film, che riesce a portare sullo schermo la forza evocativa di un'opera teatrale e le potenzialità visive della cinematografia, a partire dal suo romanzo, Pietra di pazienza, vincitore del Premio Goncourt.
Da vedere.
Voto: 4/5
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