Magazine Diario personale

Come quella volta in cui mi sono dimenticata come ci si siede.

Da V

Questo è il luogo dove si accumulano scorie di una vita che vorresti limare, tagliare, resecare,ma ti mancano gli strumenti giusti. Quindi li butti qui, quei rifiuti.
Era bello qualche settimana fa guardarsi attraverso gli occhi degli altri: cercavano nel mio sorriso un tremolio di tristezza, nel mio sguardo lacrime che non scendevano. Sapevano tutti che sarei crollata. Si sono solo dimenticati che sono troppo educata per farlo in pubblico.
E poi da dove potrei iniziare per cercare di far capire come si sta a vivere nel mezzo? A non riuscire ad essere nulla in senso totale, ma solo tante cose a metà?
Mi manca quella casa con i mobili grigi e le finestre che si aprivano sul fiume, mi manca quella casa dove avevo immaginato la nostra famiglia, ma che è diventata l’ombra di una vita che abbiamo deciso di abbandonare.
Mi sveglio la notte chidendomi come farò. Incastro date, invento giorni di 25 ore e anni di 14 mesi. Non ho il tempo.
Non sono più un essere unitario, ma diviso in luoghi fisici ed emotivi così distanti tra loro che alla fine finisco per dimenticarmi pezzettini qua e là. Sono solo frammenti, ti dici. E poi capita che ti guardi distrattamente allo specchio e ti chiedi se quella che ti osserva dall’altra parte con sguardo interrogativo sei davvero tu.
La mia parte razionale è stata nutrita a suon di obiettività, ma sento ancora le unghie del vissuto che mi graffiano lo stomaco: ti ha abbandonato, è questo che scarabocchiano sulla mia parete gastrica. Ti ha lasciata a combattere da sola, a piangere da sola, a fare cose divertenti da sola.
Perchè vedete io posso anche indossare tacchi alti e sorseggiare mojito in compagnia; posso anche chiudermi in casa a studiare per una cosa chiamata ‘futuro’ e che inizia a non avere più alcun significato, posso anche andare al mare con le amiche, posso anche fingere che la mia più grande preoccupazione sia farmi le unghie; posso anche far finta di provare un qualche interesse nelle cose che mi si dicono, ma la verità è che inizia a non fregarmene più un cazzo. Perchè quando torno a casa, mi tolgo i tacchi e mi strucco non c’é nessuno ad aspettarmi sotto le coperte. Perchè non c’è più nessuno che mi difenda, perchè è difficle dimostare – nonostante tutto l’impegno – che si sta camminando nella stessa direzione. E anche quando finalmente – dopo ore di volo e terre e mari attreversati – sarò felice, si, ma avrò lasciato indietro una parte di me che non so se ritroverò. Mi sembra di perdere, in ogni caso.
Perchè ci si dimentica sempre delle cose più semplici, delle cose più elementari: respirare, sorridere, le chiavi di casa, un sogno o addirittura come ci si siede.

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V.


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