Come Rohani cambierà l’Iran

Creato il 24 giugno 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Introduzione

L’Iran cambierà sotto la guida di Hassan Rohani. Cambierà non nel senso di regime change, né cambierà verso un sistema politico liberale, più laico, alla occidentale. Cambiamento in Iran significa cambiamento qualitativo, significa respirare un’aria nuova all’interno della Repubblica Islamica. Vi sono due ragioni per cui Rohani può cambiare l’Iran.

  1. La prima è che la sua inclinazione moderata porterà agli stessi risultati, sottili ma tangibili, della presidenza di Mohammad Khatami. Si tratta di cambiamenti qualitativi e concettuali più che quantitativi. Sono cambiamenti palpabili, di sostanza, che si riverbereranno nella società iraniana. A livello statale, porterà la “politica della normalità”, che avrà un riflesso diretto nella società.
  2. La seconda ragione deriva dal suo essere una figura conservatrice e del establishment non meno di quanto sia una figura moderata. Dunque, avrà un maggiore “potere d’acquisto” politico e capacità di strappare risultati a poco a poco, perché è della stessa pasta del establishment.
Politica della normalità

Torniamo indietro a sfogliare le pagine della storia recente iraniana, per raccogliere qualche elemento che sostenga le precedenti asserzioni. Il padre della riforma, Khatami, è sempre stato oggetto di valutazioni contrastanti. I critici sostengono che Khatami non riuscì a conseguire risultati concreti. Sebbene vi sia stata una grande discrepanza tra le promesse elettorali di Khatami, l’aspettativa popolare e quanto realmente conseguito, “l’esperimento Khatami” liberò un vibrante attivismo civico e uno slancio pluralistico germogliante, che prevalsero ben oltre il termine degli otto anni della sua presidenza. Il movimento riformatore accompagnò una transizione fondamentale nella moderna storia iraniana, il cui riverbero si può percepire ancora oggi.

Ancor più significativamente, Khatami tentò di far uscire la politica iraniana da un’epoca tumultuosa, verso una regolarizzazione. Nel contesto della campagna riformatrice di Khatami, la “politica della normalità” rifletteva la situazione d’un paese che aveva sopportato anni di turbolento cambiamento sociale e rivoluzionario. Negli anni seguenti la rivoluzione del 1979, Stato e società furono spinte in una trasformazione intenzionale, ideologica, guidata dall’alto – la creazione di una Repubblica Islamica democratica e teocratica; un esperimento straordinario, senza precedenti storici. Il tentativo di collegarsi al passato, di restaurare il lacero tessuto sociale, d’attingere dalle tradizioni intellettuali e dai valori culturali e religiosi del passato, tutto rifletteva la ricerca post-traumatica di un passato funzionale come fondamento dell’Iran contemporaneo.

Analogamente, la presidenza di Rohani – e di fatto il suo mandato popolare – rappresenterà esplicitamente il progetto d’un ritorno alla normalità. La politica della normalità riguarda un paese che sta cercando d’evitare l’isolamento diplomatico, e una nazione che sta tentando di liberarsi dalla politica di taglio rivoluzionario, dalle politiche economiche autarchiche e da rigidi costumi sociali. È uno spostamento verso una politica più pragmatica, caratterizzata dallo sforzo di basare la politica iraniana sul ripudio di quella rivoluzionaria – politicamente, economicamente e socialmente. Nell’Iran di Rohani vedremo la rinascita della politica della normalità, in cui il radicalismo ideologico lascerà il campo ai più ampi interessi dell’Iran del XXI secolo.

Khatami ha effettivamente consegnato alla storia il periodo rivoluzionario della politica iraniana, ma portato avanti gli originali ideali rivoluzionari di giustizia sociale, libertà ed eguaglianza. Con la vittoria di Rohani, si è inaugurato un nuovo capitolo della normalità – e ciò caratterizzerà affatto l’essenza e lo spirito del cambiamento.

Né riformista né oltranzista

Rohani è una solida figura del establishment clericale. Tuttavia, non è un riformista né un oltranzista. Egli è la sintesi o il prodotto d’una tesi (il campo riformista/pragmatico, ch’esclude i più radicali e laici sostenitori del Movimento Verde) e un’antitesi (Ahmadinejad e gli elementi principalisti, più conservatori e tradizionalisti). Egli rappresenta la riconciliazione della tensione ideologica tra questi due campi in competizione: un compromesso di mezzo. Questo sarà il marchio di Rohani.

Le spinte e gli strappi della recente storia iraniana hanno fatto emergere un presidente eletto che sarà capace di trarre beneficio da entrambi i costrutti socio-politici. Sarà in grado di dare la priorità a entrambi i discorsi, strumentalizzarli, a seconda delle realtà e contingenze politiche. Perciò, avrà strumenti concettuali più sfumati con cui affrontare le prove e le tribolazioni dell’Iran. Si potrebbe persino dire che sia un passo avanti verso l’armonizzazione del compresso ibrido bizantino della democrazia-teocrazia iraniana, e che possa agire come antidoto alla divisione sociale nel paese.

Quest’azione equilibratrice è la chiave in mano a Rohani per strappare il cambiamento. Ancora una volta la presidenza di Khatami può illuminare un po’. I riformisti più irriducibili sentono che Khatami non spinse con abbastanza convinzione per le riforme, ma rimase passivo. Khatami si mostrò sempre riluttante ad “agitare le acque” ma, in retrospettiva, ciò può essere stata la sua qualità più forte. Questo tipo di conservatorismo lavorerà a vantaggio di Rohani nel promuovere il cambiamento. Vediamo perché.

Nel 1999 Khatami fu duramente criticiato per non aver reagito in maniera abbastanza aggressiva all’irruzione e perquisizione dei dormitori universitari da parte dei paramilitari (si era nel mezzo di proteste studentesche). Khatami rimproverò duramente i responsabili, ma cercava di sedare i disordini piuttosto che rinfocolarli – come invece fece Mir Hossein Mousavi durante le proteste post-elettorali che nel 2009 scossero l’Iran. Sotto questo punto di vista, Khatami era l’opposto di Mousavi. Mentre Mousavi capitalizzò il diffuso dissenso sociale spingendo le masse a protestare (anche se ciò significava scontrarsi pericolosamente col personale di sicurezza e i paramilitari), Khatami mantenne l’ordine sociale suggerendo che l’opinione pubblica esprimesse il proprio attivismo civico tramite la carta stampata, gl’interventi accademici e, soprattutto, l’urna elettorale. Mousavi, d’altro canto, era pronto a spingere il movimento di protesta all’estremo, anche mettendo a repentaglio delle vite.

Come Khatami, Rohani eviterà il disordine sociale e le rivoluzioni tumultuose a vantaggio d’un cambiamento cauto e graduale. La più significativa, e difatti duratura, caratteristica dell’approccio di Khatami era la sua riluttanza ad assumere o sostenere qualsiasi comportamento che avrebbe minacciato le fondamenta della Repubblica Islamica. Khatami voleva riformare il sistema per salvare il sistema. Il cambiamento sotto Rohani significherà la stessa cosa, e finché sarà così disporrà di maggiore spazio di manovra.

Khatami ha recentemente invitato la Guida Suprema a collaborare col presidente eletto per realizzare la sua missione. Ciò potrebbe davvero accadere. Qui si vede come il profondo retroterra e la lunga esperienza di conservatore di Rohani giochino a suo favore. Sono le credenziali necessarie a trascendere la dicotomia tra il conformarsi alle tradizioni e pratiche native, e l’incoraggiare un cambiamento progressista.

(Traduzione dall’inglese di Daniele Scalea)


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