Roma, dal corrispondente
Nei primi giorni di aprile è stata firmata una bozza di accordo tra il gruppo dei c.d. 5+1 e l’ Iran che riavvicina due mondi separati da più di 30 anni e che potrebbe, volendo essere timidi, scuotere gli equilibri internazionali. Limitare la corsa al nucleare dell’ex Paese degli Scià in cambio della cancellazione di gran parte delle misure che strozzano l’economia di Teheran, questo in sintesi l’intento. La strada da percorrere per arrivare alla definitiva ratifica dell’intesa – fissata per la fine di giugno – è ancora lunga e irta di ostacoli, sia chiaro. Quelle raggiunte a Losanna sono più che altro delle linee guida che tracciano il perimetro di un mondo ancora da definire che si prospetta pieno di divergenze da appianare e di sospetti da smontare. Ma qualcosa si è mosso e questo è un dato certo. Mancano i dettagli tecnici da discutere, che sicuramente rappresentano la parte più spinosa da risolvere e, a conferma della complessità di questo passaggio, sono le dichiarazioni poco concilianti della Guida Suprema e del Presidente iraniano circa la tempistica con cui le sanzioni dovrebbero essere cancellate: spazzarle via come chiede Teheran alla firma dell’intesa oppure revocarle in maniera graduale di pari passo con il rispetto dei vincoli ai quali il paese mediorientale è chiamato come invece vogliono i 5+1?
Ma anche questo misurarsi a distanza fa parte dei negoziati che si reggono su dinamiche tanto pratiche quanto di pure propaganda, e proprio su tali aspetti dovranno ragionare i tecnici nei prossimi giorni. Nessuno vuole uscire sconfitto ma qualcuno dovrà pur rimetterci una briciola in più dell’altro. Non potevano mancare, poi, le reazioni dei Paesi che, pur non essendo direttamente coinvolti nelle trattative, dalle stesse vengono tirati in ballo pesantemente a livello politico e strategico. Arabia Saudita e Israele in primis hanno da subito bagnato l’evento come un madornale errore che metterebbe, qualora confermato, in grado l’Iran di continuare ad avere un proprio programma nucleare - semplicemente limitato per un dato periodo – e grazie alla cancellazione delle sanzioni, farebbe confluire ingenti somme di denaro nel Paese che si troverebbe così di colpo più ricco e quindi influente.
I problemi sono evidentemente di ordine geopolitico e mentre per Israele più che il rischio reale di un attacco si prospetterebbe la venuta meno di un nemico contro cui fare fronte comune in patria (le ultime elezioni confermano) e con gli USA, per Riyadh il discorso sarebbe più complesso, in quanto affronta aspetti economici – l’Iran è molto ricco di giacimenti – e politico/religiosi, essendo Teheran sponsor degli sciiti nel mondo. La motivazione addotta, poi, che vedrebbe Teheran dietro le rivolte sciite e vogliosa di poter espandere la propria sfera di influenza, è sicuramente reale e descritta benissimo dall’Arabia che fa lo stesso ma sul fronte opposto. Il fatto è che, nonostante a parole siano tutti molto preoccupati del fatto che l’Iran potrebbe disattendere le promesse e con un colpo di coda riprendere la corsa al nucleare, con in tasca molti più fondi e competenze, sembra che la speranza sia proprio che ciò avvenga. Questo imporrebbe a tutto il sestetto un ripensamento (problematico a causa della presenza di Russia e Cina) e darebbe ragione a Netanyahu e Salman che si ergono come unici partner affidabili nell’area e in grado di gestirne le sorti.
Il vero rischio che corrono i due anomali alleati, però, è che l’Iran abbia invece davvero intenzione di voltare pagina, non avendo più nulla da temere né dall’occidente né tantomeno dall’ex vicino Saddam, passato a miglior vita. Liberatosi dai vincoli che lo tenevano legato ad un’ideologia di scontro, Teheran potrebbe davvero avvalersi di questa opportunità e sparigliare le carte in Medio Oriente. A quel punto, infatti, tutti nell’area dovrebbero misurarsi con un nuovo attore con le loro stesse smanie di protagonismo e in più con una potenziale platea verso cui rivolgersi, numerosa e per alcuni molto fastidiosa.
Luca Arleo