Seconda ed ultima parte della lezione sul metodo di scrittura del collettivo Paolo Agaraff, meglio conosciuto come “il metodo dell’imbianchino”: una scrittura a più strati, in cui le diverse versioni finiscono per sovrapporsi conferendo all’opera uno stile unico e riconoscibile. Per ottenere un simile risultato all’interno di un collettivo, come ci spiegano i nostri, è fondamentale, appunto, “condividere la visione”:
La narrazione è una forma di comunicazione. Sia che ricorra a parola, immagine o musica, il narratore veicola emozioni e idee ai fruitori della storia. Per la sua natura multipla, Agaraff usa lo stesso strumento anche in fase di stesura della storia. La narrazione collettiva è quindi sia strumento di fruizione di storie che strumento di costruzione di storie.
Benché alcune forme narrative siano ben codificate (libro, film, fumetto, canzone), non sempre una sola forma si rivela soddisfacente. Un esempio chiarissimo è “Arancia Meccanica”: benché il film di Kubrick sia basato sul libro di Burgess, l’adattamento cinematografico è superiore a quello scritto perché la vera protagonista della storia è la musica, e nel film questo è evidente mentre nel libro rimane in secondo piano.
Se i componenti di Agaraff, ad esempio, comunicassero esclusivamente in forma scritta, l’efficienza compositiva ne soffrirebbe. Capita spesso, infatti, che uno degli autori dica qualcosa del tipo: «Per questa scena ho in mente “The Fog” di John Carpenter, quando gli uncini spuntano dalla nebbia». Un messaggio del genere non avrebbe senso se le altre parti di Agaraff non avessero visto il film. In questo caso, Agaraff si avvantaggia della vasta cultura multimediale delle sue parti, per condividere la visione su cui si basa la storia in costruzione.
La comunicazione multimediale delle parti di Agaraff è quindi un potente strumento compositivo. Lavorare sulla struttura di una storia a partire dal testo scritto è di gran lunga più impegnativo che ricorrere a una sceneggiatura arricchita da riferimenti visivi e sonori.
Chi scrive spesso è vittima della “tirannia della parola”, ossia quel fenomeno per cui la cura maniacale del testo diventa più importante dello sviluppo della trama. Niente rischia di rovinare una storia più di un autore che s’invaghisce a tal punto di un paragrafo da non volerlo più eliminare, anche se nell’economia della narrazione è del tutto superfluo o, peggio, fuorviante. Nel caso di Agaraff, a volte accade che una delle sue parti introduca la famosa scena perfetta. Per risolvere la questione senza (troppe) lotte intestine, il metodo prevede di mettere da parte la scena incriminata e di tentarne l’inserimento successivo, non appena la narrazione arriverà al momento ritenuto opportuno. In almeno un caso, la scena è stata addirittura tagliata e riciclata in una storia successiva.
La centralità della storia è sicuramente il tratto distintivo di Agaraff, così come la scelta di proporla con metodi narrativi differenti. Agaraff è soprattutto un cantastorie.
Gli strumenti
Il computer ha fatto parte delle vite del trio da sempre; era quindi inevitabile che il processo creativo si avvantaggiasse dei moderni strumenti informatici. Internet rappresenta lo strumento più importante di Agaraff: l’email è il principale mezzo di comunicazione del trio e il World Wide Web è l’immensa biblioteca a cui attingere per documentarsi rapidamente su cose astruse o lontane dall’esperienza comune.
Segue, per importanza, il programma di elaborazione testi. Chi si aspetta una scelta controcorrente rimarrà deluso: Agaraff è costretto ad abusare di un noto programma di elaborazione testi perché sembra che sia il solo a supportare un sistema pratico e non banale per il controllo delle revisioni. Le annotazioni fatte dal programma sono infatti fondamentali per analizzare nel testo gli interventi fatti dagli altri.
Internet è anche il mezzo principale di promozione e comunicazione dell’autore: tramite il proprio sito, Paolo Agaraff condivide con i naviganti racconti e giochi, oltre ad alcuni materiali che integrano le opere in vendita in libreria. Un esempio è l’appendice de “Il sangue non è acqua”, fortunosamente esclusa dall’edizione stampata: si tratta di un complemento importante alla storia narrata nel libro; in essa sono descritti alcuni fatti su cui si basa la narrazione, come la storia di alcuni personaggi e curiosità varie sui luoghi in cui è stata ambientata la vicenda.