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Come se la passa Mr. Ink, quattro anni dopo?

Creato il 07 gennaio 2016 da Mik_94
Sono passati quattro anni. Se non tanti, comunque abbastanza.  Per capirci, per saperci leggere tra le righe a vicenda. Libri aperti. Il non conoscerci ci rende senza peli sulla lingua e senza segreti. Non abbiamo niente da rinfacciarci. Nessuna debolezza su cui fare leva. Al contrario che nei rapporti interpersonali – dove, vuoi o non vuoi, ad un certo punto, si pretende l'amore, l'amicizia, una mano nei momenti no -, in ballo non ci sono interessi.  Mi presti gli appunti di Linguistica?Ma tu mi vuoi bene?Passo a prenderti stasera? Ci leggiamo solo perché ci fa piacere. Perché quel giorno ci andava così. Di me, in prima persona, piace poco parlarle. Strano, direte, per uno che ha scelto la parola diaro per battezzare il suo blog. Strano, soprattutto, per uno che scrive lunghe recensioni, per parlare un po' dei libri e un po' dei libri secondo lui. Il compleanno di Diario di una dipendenza, però, mi coglie sempre in momenti di forte malinconia. Sarà un caso? Ero malinconico anche quel giorno, scommetto, quattro anni fa. Partito da zero, con poche e stentate idee, che somigliavano tanto a una lista di buoni propositi. E' bastato un click, pazienza e una dose di fortuna. Quella volta, forse, una volontà superiore mi voleva vedere sorridente e, in minima parte, realizzato. E questa volta, invece? Cos'è di me, quattro anni dopo? Il diploma, l'inizio dell'università e, se Dio vuole, a novembre, la laurea triennale. La laurea, sì, e chi verrà a sentirmi discutere la tesi? Uno dei pensieri che in questi giorni difficili mi è balenato per la mente: il più stupido. Una volta, al veglione di Capodanno, ho visto una ragazza scoppiare a piangere all'improvviso, circondata dalle sue amiche; non capivo che avesse. Adesso, a modo mio, ho capito. Le feste ti ricordano cosa hai fatto e cosa non hai fatto. Chi non c'è. Vi ho accennato al mio Natale buio, ed è stato più buio – e freddo, e solitario – di quanto pensiate. Meglio non parlare del primo dell'anno.
Chi non c'è a Capodanno non c'è per tutto l'anno? In tanti mi avete chiesto cosa stesse succedendo. Ma cosa rispondervi... Non lo sapevo nemmeno io. A qualcuno l'ho detto, poi; scriverlo l'ha reso più vero e spietato. Chiaro. Mi ha sbattuto in faccia una verità che non posso negarvi, adesso, in un post di resoconti, bilanci e promesse, diverso dai miei soliti. A freddo, senza ricercare motivazioni e colpe, in pillole amare, sputo d'un fiato che mia mamma non vive più con noi e che domani sarà un mese esatto che non la vedo. Che sono arrivate le lettere degli avvocati, ma quello è stato il minimo, e che la situazione, dopo due figli e trent'anni di confidenze, con gli alti e bassi comuni a ogni famiglia, è diventata sporca, complicata. C'è chi porta acqua al proprio mulino come può, ci sono stati i musi lunghi, la rabbia, la depressione, i colpi proibiti sotto la cintola. In tre, piccoli uomini, ci siamo fatti forza e compagnia. Ma mancava il meglio. Non ho mai passato un Natale in silenzio. Mi rendevo conto di avere apparecchiato per quattro, e piangevo. Al supermercato, la radio passava il ritornello di Le tasche piene di sassi e io avevo un attacco d'ansia tra i panettoni senza candiditi e le lenticchie del cenone. Facevo una lavatrice, appendevo il bucato e mi chiedevo se lei avesse bisogno di qualcosa, se avesse con sé i calzini spessi o mutande a sufficienza. E se sta meglio di noi?, e io la odiavo. E se invece sta peggio?, e mi odiavo io. Sono appena stato in cucina e ho strappato un pezzo di Scottex, ché mi accorgo di piangere ancora. Dopo la tempesta, infatti, la siccità emotiva per la stagione più corta al mondo. Squilla il cellulare e io fingo indifferenza: papà è stato peggio di tutti e gli risparmio la notizia che il figlio tornato all'università, lontano ma non troppo, non ha finito tutte le lacrime appresso a loro. Però va meglio, piano piano. Mio padre ha ripreso a lavorare, mio fratello aspetta di sapere se al call center gli prolungheranno il contratto un mese ancora e mia madre dice che la lontananza, almeno quella, è una cosa provvisoria. Non so quando sarò pronto a vederla. Ho preso a rispondere ai suo sms da poco. Io come sto? Io sto. Galleggio e solo rare volte mi passa di mente com'è, quella storia dell'inspirare ed espirare. Il blog era l'ultimo dei miei pensieri, in ordine di importanta. Una marea di post programmati, per fortuna, e andava avanti con le magie del pilota automatico. Non pensavo sarebbe sopravvissuto a tutto questo, che avrebbe spento la sua quarta candelina. Un mese fa sì, ma quanto cambia in un mese? Mi sono trascurato, ho troncato rapporti – il tempo ci darà la pace, si spera, ma alcuni legami vanno declinati al passato, troppo grande il male – e, dal mio personale eremo, ho saltato i festeggiamenti. Non so bene dove sia mia madre, non so se mi legge. Ma, se mi legge, le dico che non importa. Se sa dov'è, le dico vieni qui. Ieri, tornato alla mia mansardina di studente fuori sede, ho messo ordine. Richiamato alla base d'urgenza, con un dispendioso Intercity, avevo lasciato la stanza nel caos, le felpe e il pigiama ad ammollo nella lavatrice, il cibo ormai guasto in frigo. Ho buttato qualcosa, dato una pulita, fatto fare un'altra centrifuga ai panni abbandonati oltre l'oblò. Ho ricominciato. Ma a lungo non ho saputo dove andare. Casa mia l'ha strappata da terra un uragano, mi domandavo? E se è ancora, lì, invece, quanto rovinata la trovo? Chi ci trovo a passeggiare scalzo tra le macerie, con scopa e paletta per salvare il salvabile? Tornare a scrivere di quello che scrivono gli altri, a leggere, è stato sollievo e distrazione. Qui, dove tutto rimaneva uguale, con il resto che mi cambiava intorno. Quindi, di cuore, grazie. Più di quanto lo abbia detto prima d'ora. Restiamo una bella storia, anche se quest'anno – nel solito post commemorativo – c'è un capitolo che, mi dispiace, mette tristezza. E sono qui, ignaro di ciò che succederà domani, sfiduciato sul fatto che la corrente elettrica possa presto tornare a brillare sulla mia famiglia, ma ci sono piccole cose che so che farò – arrivare informato alla notte degli Oscar, divertirmi a leggere storiacce di persone che se la passano peggio di me, iniziare la tesi, in estate, e per l'estate mettere un punto a qualcosa che vorrei leggeste – e circoscrivo, così, pensieri che altrimenti mi spezzerebbero in due. Con Diario di una dipendenza non si ricomincia. Semplicemente, si continua. I libri, e chi li legge, mi hanno teso infatti un salvagente. L'ennesimo.

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